lunedì 31 agosto 2009

Serie A 2> Roma vs Juventus 1-3 – Diegologia


Tutti cercavano una conferma da questa partita, gli studiosi della nuova Juve di Ciro Ferrara e gli studiosi di Diego. Sembra che le risposte siano arrivate anche se ancora troppo presto per la verità.
Certo che a veder quella sgroppata di Diego sul primo goal ritorna alla mente quell’altra sgroppata… di Ibrahimovic, sempre contro la Roma, nell’anno dello scudetto numero 29. Anche nel secondo gol, quando prede quella palla e ubriaca il difensore si finte, puoi quasi sentire che segnerà. Con lui giusto sognare e sperare che sia finito il lungo digiuno e giusto sperare che qualcuno fermi lo sconcio dell’egemonia interista sul campionato, ma con i pochi dati a nostra disposizione questi exit poll devono essere presi con le dovute molle.
Nel rovescio della nostra medaglia però, ci sono i ben noti problemi tecnico-societari dei giallorossi, palesatesi ancora una volta ieri. Non potendo infatti starci dietro con la tecnica i romanisti hanno tentato di buttarla sulla fisicità compiendo falli a ripetizione. I nostri però son sono proprio ballerine e non hanno abboccato. Gli avevamo dato anche una mano con quella papera difensiva da oratorio che ci è costato il pareggio di De Rossi. Felipe Melo non è che mi abbia convinto granché, troppi leziosismi inutili che si concretizzano in pericolose perdite di palla. Altre volte il suo nervosismo gli annebbia la vista tanto da fargli vedere giallo (quello di un cartellino) ieri invece ha deciso di poter gestire il tempo, convinto che se lui si arrabbia il mondo non può seguitare a girare… ed ecco pareggio. Non immune da colpe il Portierone, che s’è fatto trovare fuori dai pali come un impiccione, meno male che entrambi si sono poi riscattati con quella miracolosa parata su Totti, e con il terzo gol. Amauri a metà strada tra l’impreciso e lo sfortunato, la metteva o sul palo o centrale per Julio Sergio, il quale sbucando dal nulla dalla panchina giallorossa e compiva la partita della vita. Iaquinta ha la parola impegno stampata sul petto e Cannavaro continua ad innalzare il suo muro difensivo alle critiche preconcette oltre che agli avversari. Mamma mia che difensore è ancora, si capisce la standing ovation che i madrileni gli hanno tributato per la partenza. Poulsen, Poulsen, Poulsen sempre di te devo parlar male? o devo forse farlo con chi ti schiera? In generale la condizione migliore si ferma ai primi 60’ per partita e la difesa deve fare qualcosa in più. Il colpo Grosso dell’ultima ora potrà darci più consistenza su quella fantomatica fascia sinistra.
Ora la sosta e poi il ritorno a Roma, sull’altra sponda del Tevere c’è la Lazio che attualmente e la sponda più ripida delle due.

sabato 29 agosto 2009

Il gioco è bello quando dura poco (III puntata) – 24 the game

I giochi basati su pellicole cinematografiche non godono di una grandissima considerazione, specialmente se sono fatti soltanto per sfruttare il titolo in questione e se non hanno nulla da offrire.
Spesso escono subito dopo il film, con poco tempo per mettere a punto evidenti difetti, e con evidenti errori di gameplay e sono in tutto e per tutto delle vere schifezze: prendiamo giochi come La bussola d'oro, Catwoman, Bad boys 2 ecc.
Ci sono delle eccezioni, è ovvio: ad esempio La cosa o Scarface (guarda caso basati su film non recentissimi) hanno ricevuto un buon giudizio dalla critica. I giochi basati su serial televisivi sono molto più rari, e 24: The Game è tra questi, perchè dovrebbe essere diverso? Innanzitutto la fonte è un telefilm molto attento ai particolari, e che si può definire "ad orologeria". Il gioco ha l'obiettivo di farci entrare in Jack Bauer, nel proiettarci in un contesto inserito tra la seconda e la terza stagione televisiva e di farci comprendere alcune cose che in tv non avevamo messo bene a fuoco. Il problema principale del gioco è proprio che la riproduzione del serial è tanto accurata quanto invece il videogame in se sarà approssimativo. Nel gioco Ci saranno le voci originali (anche nel doppiaggio italiano saranno le stesse), lo stesso taglio cinematografico delle inquadrature, lo stesso stile di 24.
La grafica è ben riprodotta e non ha particolari imperfezioni, anche se a volte i personaggi appaiono troppo statici e troppo legnosi.
Le prime pecche però cominciano col gioco: l'intelligenza artificiale non sarà particolarmente curata: molte volte i nemici non saranno altro che dei bersagli fissi ai quali per la maggior parte del gioco spareremo (ed il meccanismo con il quale si usano le armi nel gioco non aiuta), rendendo il tutto abbastanza monotono e noioso.
Per spezzare questa routine ci verranno in soccorso dei minigiochi (tutti sufficienti, ma nessuno degno di menzione) che serviranno più a scacciare la monotonia che a rendere il gioco vario.
Molti di essi inoltre saranno fin troppo semplici (ed io non sono un esperto nei giochi pieni di puzzle), e alla lunga stancheranno.
Purtroppo l'area di gioco sarà limitata: niente free roaming alla gta per intenderci, potremo solo andare dal punto A al punto B (l'obiettivo della missione), stop. Le sezioni di guida sono forse la parte più carente: le auto sembrano poste sui dei binari: pesantissime, tutte uguali, poco curate, non si avrà mai la sensazione di controllo sul mezzo. I nemici che ci inseguono non adottano nessuna strategia, semplicemente ci vengono addosso al massimo della velocità, il più delle volte facendosi del male da soli.
24: The game insomma è un gioco che fa innervosire. Si, perchè ne senti le potenzialità, ne percepisci l'accuratezza della realizzazione, ti accorgi che non è come tutti gli altri, eppure allo stesso tempo è un prodotto davvero malriuscito. I punti a favore sono tanti quanto quelli a sfavore e allora non sai se ti trovi davanti ad un buon prodotto o ad una schifezza. La verità spesso sta nel mezzo, 24:The Game è semplicemente un gioco mediocre.
P.S. a dispetto del titolo, non occorreranno più di 8 ore per finire il videogame in questione.
Vuoto.

martedì 25 agosto 2009

Il gioco è bello finché dura poco (II puntata) – Livingstone I presume?

Agli albori delle mie esperienze videoludiche il fido Commodore 64 mi prese per mano, portandomi in un mondo fino al momento ancora ignoto. Ero però ancora un fanciullo che poco o nulla conosceva di quell'universo e non aveva i mezzi per conoscere determinate cose.
All'epoca giravano queste cassettine vendute nelle edicole, che raccoglievano giochi del C64 per farne una compilation. A quel tempo non esistevano grossi problemi di copyright, quei geniacci quindi non facevano alto che prendere dei giochi e spacciarli per altri cambiandogli il nome, o togliendogli dei livelli (rendendoli di fatto monchi) o inventandosi chissà quale altra scempiaggine. A questo si devono abomini come Uccelli spaziali (Star Paws in originale), Capo cosca (The untouchables, in realtà solo i primi livelli) e così via.
Il gioco in questione per me quindi non era affatto "Livingstone, i presume?", ma piuttosto Leoni e iene, uno stupidissimo gioco nel quale non si capiva cosa fare. Si andava avanti per qualche quadro non capendo bene cosa fare e non sapendo come farlo. Ogni tanto ti capitava di finire in una grossa buca e per uscire dovevi sperare in un colpo di fortuna. Il problema principale è che il gioco in realtà doveva essere niente affatto male, ma la mia incapacità di giocatore dell'epoca e la tristezza della conversione in quella compilation rendevano l'esperienza ai limiti del sopportabile. Qualche giocatina la facevo, attratto dalla bella grafica con belle animazioni, ma dopo un po' era difficile continuare a restare senza fare nulla. Molti di quei giochi erano difficilissimi, con zero aiuti dalle istruzioni, e in più moltissime volte erano pieni di bug che non permettevano di farteli finire. Tanto per citarne uno, nel famoso Rampage (per me Godzilla & company) sui molti livelli il più delle volte non raggiungevi il terzo o il quarto. Leoni e iene per me finiva al primo livello, dopo qualche schermata, per altri finiva al terzo livello, insomma sono pochissimi coloro che hanno potuto scoprire il finale di quel gioco.
Non ho mai finito un gioco del C64, ma pochi giochi mi hanno lasciato così basito: qui più che non riuscirci non sapevo quello che dovevo fare.
Incomprensibile.

lunedì 24 agosto 2009

Serie A 1> Juventus vs Chievo Verona 1-0 – E già Diego mania

Dopo le chiacchiere estive e l’alta concentrazione di amichevoli, compresse in un cortissimo pre-campionato tutto ha inizio. 2009/2010, stagione di fine decennio, riusciremo a colmare il gap sui nemici? Il termine ormai è stato sdoganato dal mou e non è più di esclusivo appannaggio di quei facinorosi degli stadi. Non ci si venga più a parlare di responsabilità degli addetti ai lavori, i giornalisti iniziano bene il campionato coccolando il loro protetto. In vero molto ci sarebbe da dire sui veleni dell’estate e sul mercato, e certo nel corso di questi interventi avrò occasione di esprimere la mia.
Il mercato della Juve è tutto sommato buono, anche se paghiamo ancora le scelte del cantante che hanno costretto la dirigenza a vendere gli ottimi Zanetti e Marchionni per le bizze dei suoi acquisti. La prima uscita conferma le impressioni avute ad Agosto: Diego lè l’uomo in più. Con lui ed Amauri è JUVE spettacolo, il 4-3-1-2 e tutt’altra cosa dal 4-4-2 di Ranieristica memoria. I reparti sono più vicini e sono spariti quei noiosissimi lanci lunghi. Persino il fuorigioco è meglio gestito. Detto questo però, la difesa non è ancora all’altezza di sopportare lo stress di questo modulo e ci sarà sicuramente da penare. Stasera Cannavaro con la sua prestazione ha zittito un po’ di detrattori, ma basterà questo per un’intera stagione.
Zoomando su questa partita si nota che il caldo e la prestazione ancora da “lavori in corso” ci fanno penare nel secondo tempo. Subito gol al 12’ con Iaquinta su splendido assist di Diego da calcio piazzato, poi bel gioco occasioni sciupate e un palo. Sul finale mostriamo la corda, memori delle esperienze passate, Pelissier diveniva il fantoccio da esorcizzare in una difesa splendidamente tenuta dall’esperienza di Fabio Cannavaro. Centrocampo costretto, con un buon Tiago e il solito Bidolsen che perde quella palla e per poco ci condanna. Ok la prima è andata e non si conta. Ora invece il “bello” inizia con la doppia trasferta romana. Fuoco alle polveri!

venerdì 21 agosto 2009

Il gioco è bello quando dura poco (i peggiori). Puntata I – Forbidden Siren

I giochi di una volta non erano come quelli di adesso, i giochi di una volta erano frustranti, erano progettati per giocatori assidui, il più delle volte non era possibile finirli. All'epoca non c'era internet, non c'erano siti che ti spiegassero il gioco, non c'erano soluzioni, ma anche se ci fossero state il gioco sarebbe stato comunque impossibile da finire vista la sua complessità.
All'epoca nella quale giocavo col C64 a malapena sapevo cosa fosse un gioco e come farlo funzionare, non sapevo nulla dei generi, delle saghe, dell'apporccio che si doveva avere con un certo tipo di gioco, ecco perchè molti di quei videogames (quasi tutti a dire la verità) non li ho mai finiti, di molti altri nemmeno capivo quale era il senso. In questa classifica quindi ho inserito non i gioghi più brutti ai quali ho giocato, quanto piuttosto quelli che più mi hanno fatto innervosire, che ho trovato frustranti, quelli che non ho capito o che ho trovato deludenti. Insomma ci sono anche giochi abbastanza interessanti in questa classifica, ma che interessanti non lo sono stati per me, o almeno non del tutto.

Tutta quella tiritera sui giochi di una volta e poi come primo gioco uno di non tantissimi anni fa? Si se il videogame in questione ti fa davvero rimanere basito.
Forbidden Siren è un gioco frustrante: non tanto per la difficoltà invero molto elevata, ma soprattutto per come è strutturato. Un survival horror dovrebbe far crescere la tensione, partire da uno scenario di relativa calma e condurti piano piano in un incubo, dal quale però hai qualche mezzo per uscire. Un gioco d'orrore dovrebbe avere un protagonista col quale devi poterti identificare, e col quale "soffrire" per raggiungere l'agognata salvezza. Un vero videogame di paura dovrebbe avere una curva di apprendimento graduale, che via via ti porta del tempo per apprendere nuove abilità, ed una storia alla quale appassionarti. FS non ha nessuna di queste. Se sotto il comparto audio si parte col piede (quasi) giusto, e la grafica non è eccezionale ma tutto sommato nemmeno penosa, salta subito all'occhio (all'orecchio per la verità) il pessimo doppiaggio in italiano, che sembra uscito da un filmaccio di serie c, davvero penoso. Uno allora si chiede se non era meglio lasciarlo così come era e metterci dei sottotitoli, vabbè, è un gioco e tutto sommato l'importante e la giocabilità, passiamoci sopra.
La principale novità è dettata dal sightjack: un originale meccanismo che ci permette di avere il quadro della situazione dal punto di vista dei "nemici" attraverso la pressione di un tasto, e vedere quanti ne sono muovendo la levetta analogica sinistra. Sembra davvero una scelta originale e azzeccata, ma dopo i primi minuti avremo modo di tornare (amaramente) sui nostri passi. In realtà il sightjack è del tutto inutile: non possiamo capire dove si trovano effettivamente i nemici, non sappiamo quanto ci sono vicini (anche se un segnalatore ci indicherà dove approssimativamente siamo, non è la stessa cosa), non sappiamo bene cosa fare per poter fuggire. L'ultima frase ovviamente dovrebbe essere il cardine di un gioco, altrimenti che gusto c'è, il problema è che il gioco è strutturato come uno stealth horror nel quale però possiamo fare ben poco per non farci vedere dai "nemici" o per distrarli, dove la mappa è realizzata malissimo, dove la pianificazione del piano di fuga richiede tantissimo tempo e quel che c’è di peggio e che sulla mappa non vi è nessun puntino che indichi la nostra posizione, elemento fondamentale per qualsiasi videogame che si rispetti. Tutte queste difficoltà le incontriamo già nella terza missione di gioco.
La storia poi non aiuta: i protagonisti sono ben 10, e si alternano tra loro senza rendere possibile un'identificazione o un qualche motivo di interesse per le loro vicende. Quello che più fa innervosire è che il gioco in questione ha davvero delle premesse molto buone ed ha sicuramente degli elementi che lo rendono originale rispetto agli altri giochi del suo genere, premesse ed intenti letteralmente gettati alle ortiche. Ecco allora che l'unica paura che proveremo nel gioco è quella di sbagliare qualcosa, quella di non riuscire a gestire al meglio il gameplay, quella di ricominciare tutta la missione da capo.
Insomma un gioco non pessimo "oggettivamente" e amato da una buona fetta di giocatori, ma davvero troppo odioso e irritante per intrattenere per tutto il tempo che richiede.
Frustrante

martedì 18 agosto 2009

Mettiamoci in gioco, decima puntata - Mafia

Un clone di Gta? Non proprio, anzi niente affatto. In primo luogo abbiamo di fronte un gioco ambientato negli anni Trenta, con macchine ed ambientazioni dell'epoca, e anche quando andremo più in la nel tempo ci sarà sempre quell'atmosfera retrò dei film ambientati in quel periodo. Mafia è un gioco assolutamente cinematografico, a differenza di Gta dove spesso avremo l'impressione di svolgere delle missioni slegate dalla trama principale, in questo videogame invece avremo sempre ben presente l'obiettivo della missione, ed il tutto sarà legato da un ottima storia che terrà incollati fino alla fine.
Il sonoro e la grafica (considerando l'anno di uscita) sono davvero ottimi, e anche la possibilità di un gioco violento senza un motivo preciso (molti ancora lo pensano) viene scacciata da una resa della trama impeccabile e niente affatto scontata.
Il nostro alter ego sarà assillato dai dubbi, e non farà il malavitoso per il solo gusto di farlo, anzi ad un certo punto comincerà a fare il doppio gioco, insomma verremo catapultatati in un mondo ludico che sa tanto di "Quei bravi ragazzi" (anche nell'impostazione degli eventi che si susseguono). Le missioni sono varie e mai troppo noiose, e sia nelle sezioni a piedi che in quelle di guida verremo gratificati da un ottima successione degli eventi. Certo ad un occhio più attento non mancano i punti deboli, e forse c'è un vago retrogusto Gta nell'operazione, ma l'atmosfera che arricchisce il gioco è qualcosa di unico.
Bisogna anche dire che la versione PC (quella della quale parlo) è fantastica, mentre quella Ps2 è tutt'altro che impeccabile, con caricamenti a volte anche lunghi e frustranti, che faranno abbassare di molto la valutazione sul gioco in questione. Al di là di tutto Mafia è un gioco che va giocato, non fosse altro che per la magnifica trama degna di un bel film d'altri tempi.
Appassionante
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Nei prossimi giorni la classifica sui giochi che invece più mi hanno fatto innervosire e che più mi hanno deluso.

sabato 15 agosto 2009

Mettiamoci in gioco, nona puntata – Goal!

Dopo tanti giochi di nuova generazione, uno di quelli che mi ha fatto passare più ore davanti alla tv, un vecchio gioco di calcio.
Goal in realtà altro non è che il seguito non ufficiale di Kick Off 2, uno dei videogame basati sul calcio più amati e più ricordati (assieme forse a Sensible Soccer), e che si trovò ad un certo punto davanti ad un bivio. Dino Dini, ideatore degli altri due capitoli della saga, abbandonò per alcuni dissidi la Anco, e quindi perse il diritto a mantenere il glorioso nome della saga. Il nuovo gioco quindi fu ribattezzato Goal! e distribuito da Virgin Games, e fu subito un successo (60.000 copie vendute solo nel primo giorno di vendita).
La Anco nello stesso anno sfornò il suo Kick off 3, che in realtà non essendo opera di Dini, era un gioco molto diverso dagli altri della saga, e sicuramente meno riuscito.
Goal! è quindi a tutti gli effetti il vero successore di Kick Off 2. Elencare tutti i punti di forza del gioco è un impresa titanica, per l'epoca (almeno per me) era un gioco estremamente simulativo e con una serie di piccole chicche da lasciare esterrefatti. Innanzitutto era un gioco fluidissimo, lontanissimo da tutta una serie di giochi di calcio statici e dove comandare i giocatori era frustrante, in secondo luogo la palla non era affatto incollata al piede degli omini, e anzi necessitava di un controllo particolare per evitare che andasse per conto suo. Questi accorgimenti da un lato rendevano il gioco molto più difficoltoso e ostico, ma la sensazione simulativa e la velocità erano affascinati. La possibilità di scegliere due visuali veniva incontro anche agli amanti di Sensible Soccer, e della sua "vista" verticale. Un altro aspetto peculiare del gioco era il cosiddetto After-touch (imprimere l'effetto al pallone subito dopo il tiro), che permetteva di effettuare delle traiettorie spettacolari e inusuali per l'epoca, con tiri ad effetto che garantivano una soddisfazione incredibile dopo aver segnato un goal.
L'insieme di rovesciate, colpi di tacco, colpi di testa, rimpalli, situazioni sempre nuove, davano davvero la sensazione di una partita vera, e l'immensa mole di squadre disponibili garantiva un divertimento sempre nuovo. L'uso del replay per vedere le nostre prodezze dopo un goal, la spettacolare realizzazione dei giocatori, l'ottima realizzazione dei campi (con tanto di effetto "bagnato), la possibilità di effettuare sostituzioni, un gioco (quasi) senza punti deboli insomma.
Ho giocato a Goal! ininterrottamente da quando lo acquistai, fino alla rottamazione della mia Amiga 600 (il che è un bel biglietto da visita), si può dire quindi che aveva una longevità altissima.
Dopo il grande successo di Goal! Dino dini, fece poco altro, giusto l'autocelebrativo Dino Dini Soccer (uscito l'anno dopo), e poi un lungo autoesilio (un po' come tutti i vecchi produttori di giochi, disorientati dal mercato videoludico attuale). Resterà comunque un genio nel campo dei videogame di calcio.
Realistico e immortale.

giovedì 13 agosto 2009

Mettiamoci in gioco, ottava puntata – Jak and Daxter: The Precursor Legacy

Il genere di piattaforma è sicuramente tra quelli più amati, perché regala un divertimento "immediato" al giocatore. Per questo motivo forse è entrato poche volte in crisi, magari è stato leggermente modificato per stare al passo con i tempi, ma il platform ha sempre goduto di una grandissima fetta di appassionati sparsi per il globo. 

martedì 11 agosto 2009

Mettiamoci in gioco, settima puntata – Shadow of the colossus

Una new-entry, una videogame che non credevo potesse entrare in questa classifica fino a poco tempo fa. Shadow of the colossus è un gioco molto particolare, anomalo, molto semplice nella struttura, quasi banale, che a primo impatto sicuramente lascia interdetti: perchè mai un gioco così scontato (a parte la grafica stupefacente) è giudicato da molte riviste specializzate come uno dei migliori di tutti i tempi?
In buona sostanza lo schema è sempre lo stesso: trova il colosso, uccidilo e così via per 16 volte (non ci sono altri nemici o altre persone oltre voi, il vostro cavallo, una principessa priva di vita e i colossi. Qualche animaletto lo troverete nella landa deserta, ma non sarà di grandissima compagnia). Un gioco vecchio stampo insomma, dove il cavaliere deve attraversare una terra piena di nemici per salvare la principessa. Non è proprio così. Le prime avvisaglie le avvertiamo quasi subito: perchè dobbiamo uccidere questi giganti, che in realtà se ne stanno in disparte e non intervengo fino a quando non vengono disturbati? Se in un primo momento li vediamo come nemici da abbattere, che si frappongono tra noi e la vittoria, verso la metà del gioco la soddisfazione per la loro uccisione si trasforma in pena. Si, ad un certo punto l'uccidere i Colossi si farà sempre più difficile, quanto all'apparenza inutile e pieno di pietà nei loro confronti.
Immense figure che molto spesso non appaiono come dei conquistatori, piuttosto come le rovine di qualcosa di antico che noi disturbiamo e finiamo di distruggere. la trama rimane piuttosto ambigua fino alla fine, e praticamente nulla ci viene rivelato fino alla sequenza finale: chi sono in realtà i Colossi, chi ci ha promesso la "resurrezione" dell'amata in cambio della loro distruzione, chi siamo, perchè la principessa è morta, perchè questo essere è in grado di resuscitare i defunti? Più ci avviciniamo al finale è più cominciamo ad essere dubbiosi: è davvero giusto quello che facciamo? Ne varrà davvero la pena? Intanto cominciamo a cambiare nell'animo e nell'aspetto, finché il nostro destino si compie.
L'ultima sequenza chiarisce molte cose, e alla fine più che soddisfazione proveremo tristezza e rassegnazione: i nostri tristi presagi erano fondati.
Shadow of the colossus insomma parte davvero in sordina, per arrivare al culmine nella sequenza di chiusura ( è sicuramente voluto), dove resteremo immobili a gustarci uno dei finali più belli mai comparsi in un videogame. SOTC non è un gioco infinitamente divertente, ne con un gameplay straordinario, non è vario o originalissimo, non ha una trama dettagliata, eppure è un capolavoro. E' un gioco che ha come arma migliore l'atmosfera, il senso di qualcosa di incombente, il timore che i presagi di sventura siano reali, insomma va vissuto più che giocato. La ciliegina sulla torta poi sono le allusioni e le citazioni tanto ad Ico (Shadow of the colossus è più giovane di qualche anno, ma ne è il prequel in buona sostanza) quanto alle sacre scritture (Dormin, l'essere soprannaturale che ci guiderà, sarebbe l'anagramma di Nimrod: l'essere che costruì la torre di Babele e i cui pezzi furono sparsi per la terra, costretto a parlare un linguaggio incomprensibile tanto quanto quello del gioco in questione).
Un videogame insomma che ha un sapore di antico, di storia legata ad antiche leggende o al sacro, un opera che pochi avranno (purtroppo) la possibilità di gustarsi come merita (molti dei quali scoraggiati da un inizio poco promettente).

domenica 9 agosto 2009

Mettiamoci in gioco, sesta puntata - Street fighter II

Un gioco così non ha bisogno di presentazioni, anche se forse oggi i più giovincelli saranno del tutto all'oscuro dell'importanza storica del videogame targato Capcom.
Prima di Street fighter II insomma c'era il nulla: i giochi di combattimento si dividevano i picchiaduro a scorrimento (alla Double dragon, per intenderci) e giochi di lotta dove bisognava schiacciare pulsanti a caso ed avere molta fortuna, più che buona coordinazione e intelligenza tattica (il primo Street fighter era tra questi). Fu insomma una rivoluzione, visti gli innumerevoli imitatori (alcuni anche fin troppo palesi e ai limiti del plagio: Fighter's history ad esempio) e la creazione di un genere che dura (con alti e bassi) fino ai giorni nostri. A differenza dei giochi precedenti, Street Fighter disponeva di una grafica molto dettagliata (per i tempi), di una fluidità mai vista, e di ben 6 tasti per una combinazione di colpi che non aveva precedenti. Le storie dei vari personaggi, per quanto banali, riuscivano a risultare coinvolgenti, e nei primi anni '90 non c'era sala giochi che non lo avesse, o cabinato che non fosse invaso da ragazzini pronti a dimostrare la loro bravura. Per quanto all'epoca molti si sforzassero di capire chi fosse "il combattente" perfetto, tutti i personaggi avevano un loro perchè, e tutti potevano essere utilizzati per arrivare alla vittoria finale. SFII si prestava magnificamente ad essere giocato nelle sale giochi e soprattutto era perfetto per le sfide tra i due giocatori, un gioco che sembrava non avere punti deboli, ma alla fine anche esso ha ceduto il passo.
La crisi delle sale giochi (ormai simbolo di un modo di giocare che non c'è più) ne decretò la discesa, tra stanche rivisitazioni e scarsi aggiornamenti (le varie versioni Turbo, o Alfa, con nuovi lottatori e nuove mosse servì a rimpinguare le casse della Capcome ma a sconfortare coloro che attendevano una rivoluzione). Anche la crisi dei picchiaduro non aiutò: il giocatore medio era rivolto verso altre produzioni e altre meccaniche di gioco. La saga si trascino così stancamente fino ai giorni nostri e a quello Street fighter IV (datato 2009) che cerca di rinverdirne i fasti. SFII però era tutta un'altra cosa, e rappresenta un era videoludica ed un modo di giocare che oggi non c'è più.
Leggendario

venerdì 7 agosto 2009

Mettiamoci in gioco, quinta puntata – Kingdom Hearts

Non sono un fan degli rpg. Non è che i giochi di ruolo mi facciano schifo, ma non mi hanno mai appassionato come gli altri, e se dovessi fare una classifica dei generi che preferisco sicuramente sarebbe negli ultimi posti. Molte sono le cose che non mi vanno giù: la gestione dei combattimenti, la poca componente action, la prolissità e pomposità di molte storie... Più che altro mi sono avvicinato a questo gioco per via della strana commistione tra Final Fantasy e il mondo della Disney (che mi ha sempre affascinato), ma ero molto dubbioso: credevo fosse un rpg per bambini.
In realtà Kingdom hearts è un gioco molto profondo, molto più di quanto la copertina o le prime impressioni facciano presagire. Innanzi tutto la storia è davvero interessante ed a tratti molto malinconica (l'infanzia che svanisce, il dover abbandonare coloro che amiamo, il valore dell'amicizia, il lato oscuro in ognuno di noi), inoltre il fattore rpg è presente ma non è preponderante (mescolato con una buona dose di action e platform). I combattimenti non saranno frustranti o eccessivi quindi, ma il tutto sarà sempre ben inserito nel contesto della storia e nell'evoluzione del personaggio.
La parte del leone la fanno i dialoghi e la colonna sonora: strepitosi. Non era facile costruire un qualcosa di così ambizioso e "strano", è invece ne è venuto fuori un capolavoro che ha i tratti di un'avventura magica, quasi da sogno, dove non saremo mai attanagliati dalla noia, e dove i personaggi saranno così tanti e vari da coinvolgerci sempre allo stesso modo.
Sora si ritroverà spaesato, come noi, dinnanzi alla vastità del mondo e alle differenti prove della vita, imparerà ad amare e a battersi, a difendere ciò che più gli è caro, crescerà e diventerà un'altra persona (un po' come Frodo nel Signore degli anelli). Il gioco in se è molto lungo e pieno di cose da fare, di mostri da sconfiggere, di luoghi da visitare, tanto che per un fan di questo genere di cose sarà come stare in un parco dei divertimenti. E' probabile che non tutti abbiano potuto apprezzare la grandiosità di quest'opera: molti sono i pregiudizi legati ad un prodotto del genere, che invece è tutt'altro che infantile e banale.
Kingdom hearts è un gioco che conquista, che sia sia fan dei giochi alla Final Fantasy o semplicemente estimatori di Paperino, Pippo e tutta la banda di allegri personaggi targati Disney.
Fiabesco

mercoledì 5 agosto 2009

Mettiamoci in gioco, quarta puntata – Silent Hill 2

Troppo tardi ho scoperto questa magnifica saga orrorifica della Konami, sicuramente come molti l'ho evitata per qualche tempo perchè da fan di Resident Evil credevo ne fosse una copia mal riuscita. Niente di più falso.
La differenza tra Resident Evil e la “Collina Silente” è sostanziale: è come confrontare (citando il mio caro John Carpenter) film come La cosa e altri come Il signore del male, o come paragonare gli inseguimenti e le fucilate a più non posso di Vampires con l'atmosfera macabra di opere come il Seme della follia. Resident evil insomma è tanto fracassone, splatter, eccessivo, pieno di scene studiate per far saltare sulla sedia, quanto Silent hill è lento, d'atmosfera, riflessivo. L'orrore in questo caso è qualcosa nascosto nella memoria, i mostri sono quelli interiori, le lotte sono quelle contro i fantasmi della nostra anima, in una sorta di purgatorio che alla fine ci condurrà verso strade che non avremmo voluto percorrere.
La natura degli orrori che attraversiamo nel gioco probabilmente l'abbiamo causata noi, e quindi non ne usciremo per quanto ci sforziamo di trovare una via d'uscita: entrati in Silent hill, non si fa più ritorno, o almeno nel modo in cui ci siamo andati.
Un altro elemento che distingue le due saghe è una maggiore propensione per gli enigmi in Silent hill: le prove più dure da superare risiederanno nel cercare la soluzione a determinate situazioni più che nell'abbattere i mostri. La differenza tra questo e gli altri capitoli della saga invece è quella di essere abbastanza slegato dalla trama principale, ma non per questo meno affascinante.
La cosa migliore del gioco sicuramente è la trama, ed è su questa che poggia tutta l'esperienza di gioco, l'uccidere i mostri ne è solo un appendice, che serve a farci capire meglio determinate cose che sono accadute, a simboleggiare una pena da espiare.
Se c'è un gioco "cinematografico" sicuramente Silent hill 2 sarebbe nei primissimi posti: la trama è così articolata e piena di sfaccettature che se ne potrebbero scrivere dei libri, il finale multiplo rende il tutto ancora più ambiguo e degno di riflessione. Il protagonista e tutti i personaggi che attraversano la stana città non sono inquadrabili: personaggi complessi e pieni di fantasmi interiori, che avranno modo di mostrare la loro reale natura soltanto con il passare del tempo. James Sunderland non è un eroe, tutt'altro: un carnefice forse, un uomo pentito, un marito innamorato, una persona che non sa assumersi le sue responsabilità, che vorrebbe avere solo il meglio che la vita ha da offrire, rifiutandosi di accettare anche le cose che non vanno.
Pyramid Head è il catalizzatore, è l'incarnazione di un malessere, il punitore, colui che è venuto a mostarci quello che preferiamo negare (nonchè uno dei migliori villains nella storia dei videogames)
il gioco comincia in maniera sommessa per poi avvolgere nella sua spirale l'inconsapevole giocatore, che alla fine di tutto non potrà che rimanere estasiato e allo stesso tempo commosso da questa splendida (per quanto tristissima) storia.
"Affascinate" e "disturbante" allo stesso tempo.

lunedì 3 agosto 2009

Mettiamoci in gioco, terza puntata – Grand Theft Auto: San Andreas

Una delle saghe videoludiche più controverse, forse la più controversa in assoluto, anche tra i videogamers: un gioco scadente che fa della violenza esplicita e della "trasgressione" il suo forte, o un gioco profondo e pieno di sfaccettature, che attraversa tutti i generi e li riscrive? Difficile dare un giudizio oggettivo, le vendite però e i voti delle riviste specializzate parlano chiaro, e confermano che San Andreas è un qualcosa che non si può ignorare.
Il mio primo approccio fu dubbioso: anch'io credevo che il gioco fosse così considerato per via delle polemiche che si trascinava dietro e per via della possibilità di fare cose che nella vita reale non faremmo mai. In realtà Gta bisogna giocarlo per capirlo, non è affatto un gioco semplice da capire a fondo, e gustandone le mille sfaccettature si arriverà ad amarlo. Il primo gioco della saga che acquistai fu Vice city, e mi colpì subito: il solo girovagare con macchine lussuose ascoltando meravigliosa musica eighties mi prese delle ore intere, quando poi scoprii la bellezza della trama, delle citazioni, la possibilità di fare quasi tutto, il carisma di un personaggio come Tommy Vercetti allora ne divenni un fan.
San Andreas rispetto a Vice city è molto più grande, si possono fare molte più cose, c'è anche una spruzzatina di rpg (giochi di ruolo) a completare la mole immensa di generi che attraversa, ne è insomma una versione evoluta, magari meno affascinante, ma assolutamente da provare.
In teoria è un videogame infinito: anche dopo la fine della trama principale, probabilmente avremo ancora centinaia di altre cose da fare, segreti da scoprire, posti da visitare, insomma difficilmente lo metteremo in un angolo con la voglia di non riprenderlo mai più.
San Andreas è un gioco che non eccelle in nessun genere che attraversa (non è il migliore action game, ne il miglior rpg, non è nemmeno un grandissimo gioco di guida), la sua grandiosità è data dall'insieme: la libertà, la vastità dell'ambientazione, l'atmosfera, i dialoghi, la colonna sonora.
In buona sostanza si potrebbe dire che più che un gioco è un "esperienza ludica", che molti hanno cercato di emulare (i vari True Crime, The Getaway, Just Cause), ma che nessuno è riuscito a riprodurre a comando (anche se giochi come Mafia, Scarface, o Mercenari sono delle varianti abbastanza riuscite).
Quanto alle presunte polemiche per la violenza gratuita, come ho detto chi ha "vissuto" il gioco ha capito che molte delle accuse sono del tutto infondate: volete ammazzare qualcuno nel gioco? Provateci, verrete subito braccati dalla polizia. Una rapina? Non senza una probabile fuga perchè la polizia ci sta alle calcagna.
E' facile comprendere quindi che determinate azioni corrispondono a delle conseguenze, così nella vita, come nel gioco.
In conclusione, un gioco in tutti i sensi "Immenso".

sabato 1 agosto 2009

Mettiamoci in Gioco (i migliori), seconda puntata – Grim Fandango

Povere avventure grafiche: troppo lente e troppo prive d'azione per accontentare i giovani ragazzini che amano le produzioni odierne. Un genere considerato troppo antiquato, ancorato ad una struttura troppo stantia secondo molti, con tanta atmosfera ed un coinvolgimento speciale per altri. Diciamo che le avventure grafiche sono sempre state di nicchia: anche nei momenti migliori non è che vendessero tantissimo, anzi sono sempre restate (a parte rari casi) produzioni cult, più che fenomeni di massa. Sicuramente lo svantaggio di simili tipologie di videogames è quello di essere poco adatte per essere giocate su console (Grim fandango è uscito solo per Pc, mentre Monkey islands su playstation non ha avuto un grandissimo successo), ed in un epoca dove la PS1 vendeva vagonate di cd...
Grim Fandango per me è "L'avventura grafica". Umorismo, atmosfere noir, musica jazz meravigliosa, gusto per il nonsense e per il soprannaturale, una storia che riesce davvero (non mi vergogno di dirlo) a commuovere.
Il finale è meraviglioso, lo è ancor di più pensando che giochi del genere ormai non potranno mai più esistere. Lo preferisco di gran lunga alla saga di Monkey Island, molto più pubblicizzata e presa come pietra di paragone del genere. La cosa migliore di GF era sicuramente (oltre all'ottima caratterizzazione dei personaggi) il modo nel quale era strutturato: in quattro capitoli ripercorrevamo le gesta del protagonista, ognuno temporalmente ad un anno di distanza dall'altro, come in una grande epopea.
Il carisma di un personaggio come Manny Calavera, gli intrighi, i dialoghi meravigliosi (bellissima la scena dove di possono recitare delle poesia scegliendo delle frasi preimpostate, con un effetto esilarante), i colpi di scena, lo rendono degno di un opera cinematografica.
In una sola parola: Magico