“Si accorse di trovarsi nel passato e guardandosi allo specchio vide una faccia che non era la sua…” Mente vuota e nuovo inizio, (anche per lo spettatore) come appena nato, un uomo impaurito, fuori luogo e fuori tempo, seduto su un treno fissa fuori dal finestrino, di fronte a lui una ragazza che lui non conosce ma che sembra conoscerlo bene e per tutto il film un’unica domanda: “cosa faresti se sapessi di star vivendo gli ultimi 8 minuti della tua vita?”. Fin dall’inizio gli amanti di Quantum Leap capiscono bene di cosa si tratta, ma stavolta non c’è il il dottor Samuel Beckett su quel treno ma il capitano Colter Stevens, novello viaggiatore del tempo con il cervello in pappa per il cocktail di neuroni che ha col suo organismo ospitante, ma con soli 8 minuti per “modificare in meglio gli eventi” prima che tutto si resetti e lui ritorni nella sua capsula da cavia di laboratorio per programmare il nuovo inizio in stile giorno della marmotta.
Le citazioni sono chiare ed inequivocabili, il regista, quel Duncan Jones figlio di cotanto David (Bowie) Jones, torna alla fantascienza e dopo aver reso omaggio a 2001 odissea nello spazio col suo esordio alla regia (Moon) ora si cimenta in una sorta di personalissimo remake (a grandi linee) di Quantum Leap, “aggirando” il veto imposto dalla Universal che a tutt’oggi non ha ancora messo fuori una riproposizione del telefilm più premiato degli anni novanta. I fan di quest’ultimo apprezzeranno di sicuro lo sforzo arricchito dal cameo telefonico dello stesso Scott Bakula alla fine del film, chicca che come al solito noi poveri cinefili del Bel Paese ci perderemo per colpa del doppiaggio, come a dire: vi lasciamo il titolo originale ma vi priviamo della ciliegina sulla torta. E dire che in un intervista concessa al sito i 400 calci lo stesso regista aveva suggerito la soluzione più semplice al problema, cioè ingaggiare per quella parte il doppiatore di Bakula nel telefilm (Massimo Giuliani), appello, manco a dirlo, caduto nel vuoto. Peccato che sia proprio il grande Tonino Accolla (direttore del doppiaggio) a farci questo grande torto.
Proprio come il suo predecessore Moon, Source code è essenziale e diretto, condito dallo stesso interrogativo: fino a che punto si può strumentalizzare e sfruttare la vita e la morte di un uomo per salvare l’umanità? Il dottor Samuel Beckett non fece mai ritorno a casa e continua ancora oggi (nella sua realtà alternativa) a saltare di vita in vita per adempiere alla sua missione, qui invece al protagonista sarà chiesto addirittura di ripetere la sua missione fino a che non sarà riuscito a compierla e a morire più e più volte, proprio come in un videogame. Ecco un altro omaggio del regista, stavolta al mondo videoludico della Rockstar e a quel Grand Theft Auto amatissimo dai videogiocatori più o meno accaniti, che ha voluto inserire in quel salto dal treno per sua stessa ammissione, ottenendo una cinetica di caduta realistica che si ottiene solo in quel gioco e che non si era ancora visto in un film. Non è un caso, infine, la scelta del protagonista principale, proprio quel Jake Gyllenhaal già martire dei viaggi nel tempo in Donnie Darko 10 anni or sono.
Tale surplus di citazioni poteva risultare in qualche modo troppo ridondante (come in una sorta di “scary movie serio”) ma in realtà risulta ben riuscito. Un turismo “cito-gastronomico” che toccherà le corde degli amanti della fantascienza spazio-temporale ma senza esagerare, come chi nel web lo paragona a un Inception meglio riuscito… siamo seri! Non scomodiamo il capolavoro di Nolan.
MINI-SPOILER nero su nero: <<Pecca forse sia per il finale da “volemose bene”, simile al lieto fine (politicamente corretto) di Moon, che per la poca originalità>> (evidenziare per leggere)
voto 8-
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