Il bello delle serie antologiche é che, rispetto a prodotti più canonici, possono permettersi il lusso di esplorare varie strade, raccontare storie diverse, epoche diverse, tematiche differenti. Le migliori di queste poi riescono persino a fare tutto questo mantenendo uno stile unico, che permea tutte le stagioni, un filo conduttore concettuale che permane nonostante il passare del tempo, il mutare delle storie e l'avvicendarsi degli attori.
Dovessimo pensare ad un prodotto abbastanza rappresentativo delle serie antologiche probabilmente il primo pensiero andrebbe a Fargo.
Nata come Miniserie ispirata all'omonimo film dei fratelli Coen, nel corso degli anni si é trasformata in un grande contenitore dell'essenza stessa dei film "coeniani", un concentrato di luoghi, situazioni, evoluzioni, dinamiche tipiche di quel modo di fare cinema.
Forse anche per questo (la complessità di costruire un prodotto che fosse coeniano senza esserne una scopiazzatura) la serie di Noah Hawley si è sempre presa il suo tempo, fregandosene di battere il ferro finché era caldo, finendo per inflazionare la proposta (chi ha detto American Horror Story?).
E' passato così un anno dalla prima alla seconda stagione, due anni tra la seconda e la terza, tre anni tra la terza e la quarta per arrivare alla conclusione di questa quinta stagione quattro anni dopo la precedente. Giusto in tempo per lo scoccare del decimo anno di vita della serie. Un lasso di tempo lunghissimo che ha permesso a Fargo di mutare, rimescolarsi, aggiornarsi al cambiamento della società, nonostante le sue stagioni fossero ambientate comunque sempre nel passato. E nel passato è ambientata anche questa stagione, sebbene stavolta si tratti di un passato molto recente: il 2019.