La prima stagione di Russian Doll funzionava alla grande. Il revival di Ricomincio da capo non aveva ancora assunto connotati eccessivamente ridondanti e quella sua rilettura della tematica dei loop temporali risultò fresca, ingegnosa, piena di stile. Buona parte del merito derivava da un montaggio sempre serrato ed una Natasha Lyonne perennemente sopra le righe, logorroica, come sotto l'effetto di qualche sostanza e affetta da un atteggiamento alieno, ironico e autoironico. Non mancavano di certo i momenti più riflessivi che spostavano la serie su binari più seriosi e anche drammatici, soprattutto dopo l'ingresso in scena del personaggio di Alan, per certi versi totalmente agli antipodi rispetto a quello della protagonista.
I primi 8 episodi insomma costituivano una bella novità nel panorama seriale di Netflix e ci mostravano una strana storia sull'accettazione, un racconto autoconclusivo e perfettamente coerente. Certo le basi stesse sulle quali poggiava il progetto naturalmente stridevano con l'idea di sfruttare quell'espediente per una seconda stagione. Ma sappiamo come funzionano queste cose con Netflix e affini: spesso sfornano 300 stagioni su serie che avevano detto tutto dopo la prima ( "chi ha detto 13 reasons why"? ) per poi chiuderne invece altre dal grandissimo potenziale e che, soprattutto, finiscono con un cliffhanger (tipo "Archive 81", mannaggia a voi). Contano i soldi e gli utenti e mai come in questo caso Netflix ci sta attenta visto il tonfo economico degli ultimi mesi.