mercoledì 5 agosto 2009

Mettiamoci in gioco, quarta puntata – Silent Hill 2

Troppo tardi ho scoperto questa magnifica saga orrorifica della Konami, sicuramente come molti l'ho evitata per qualche tempo perchè da fan di Resident Evil credevo ne fosse una copia mal riuscita. Niente di più falso.
La differenza tra Resident Evil e la “Collina Silente” è sostanziale: è come confrontare (citando il mio caro John Carpenter) film come La cosa e altri come Il signore del male, o come paragonare gli inseguimenti e le fucilate a più non posso di Vampires con l'atmosfera macabra di opere come il Seme della follia. Resident evil insomma è tanto fracassone, splatter, eccessivo, pieno di scene studiate per far saltare sulla sedia, quanto Silent hill è lento, d'atmosfera, riflessivo. L'orrore in questo caso è qualcosa nascosto nella memoria, i mostri sono quelli interiori, le lotte sono quelle contro i fantasmi della nostra anima, in una sorta di purgatorio che alla fine ci condurrà verso strade che non avremmo voluto percorrere.
La natura degli orrori che attraversiamo nel gioco probabilmente l'abbiamo causata noi, e quindi non ne usciremo per quanto ci sforziamo di trovare una via d'uscita: entrati in Silent hill, non si fa più ritorno, o almeno nel modo in cui ci siamo andati.
Un altro elemento che distingue le due saghe è una maggiore propensione per gli enigmi in Silent hill: le prove più dure da superare risiederanno nel cercare la soluzione a determinate situazioni più che nell'abbattere i mostri. La differenza tra questo e gli altri capitoli della saga invece è quella di essere abbastanza slegato dalla trama principale, ma non per questo meno affascinante.
La cosa migliore del gioco sicuramente è la trama, ed è su questa che poggia tutta l'esperienza di gioco, l'uccidere i mostri ne è solo un appendice, che serve a farci capire meglio determinate cose che sono accadute, a simboleggiare una pena da espiare.
Se c'è un gioco "cinematografico" sicuramente Silent hill 2 sarebbe nei primissimi posti: la trama è così articolata e piena di sfaccettature che se ne potrebbero scrivere dei libri, il finale multiplo rende il tutto ancora più ambiguo e degno di riflessione. Il protagonista e tutti i personaggi che attraversano la stana città non sono inquadrabili: personaggi complessi e pieni di fantasmi interiori, che avranno modo di mostrare la loro reale natura soltanto con il passare del tempo. James Sunderland non è un eroe, tutt'altro: un carnefice forse, un uomo pentito, un marito innamorato, una persona che non sa assumersi le sue responsabilità, che vorrebbe avere solo il meglio che la vita ha da offrire, rifiutandosi di accettare anche le cose che non vanno.
Pyramid Head è il catalizzatore, è l'incarnazione di un malessere, il punitore, colui che è venuto a mostarci quello che preferiamo negare (nonchè uno dei migliori villains nella storia dei videogames)
il gioco comincia in maniera sommessa per poi avvolgere nella sua spirale l'inconsapevole giocatore, che alla fine di tutto non potrà che rimanere estasiato e allo stesso tempo commosso da questa splendida (per quanto tristissima) storia.
"Affascinate" e "disturbante" allo stesso tempo.

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