venerdì 31 ottobre 2014

True Detective – Stagione 1 [Serie TV 2014]

Tantissimi attori da cinema ultimamente stanno approdando al piccolo schermo e alla serialità televisiva, la maggior parte in cerca di un rilancio dopo una carriera buttata al vento o in fase di stallo. A volte però qualche attore che invece vive proprio il suo momento migliore decide di cercare una nuova via espressiva, uno di questi è Mattew McConaughey. Affiancato dal sempre bravo (e un po' sottovalutato) Woody Harrelson hanno prodotto e interpretato questo True Detective, ottima miniserie scritta e prodotta da Nic Pizzolatto.

Il tratto distintivo di questa serie? Facile che la prima risposta sia: gli attori. E' vero, la serie è nobilitata dalla bravura dei due due protagonisti (già visti assieme nel particolare ED tv) ma è la scrittura che li mette in risalto e li esalta. True detective infatti non è un classico giallo o un poliziesco ma più prettamente un noir, dove non è tanto importante il caso da risolvere e il colpevole da smascherare quanto i conflitti interni (amorosi, personali, morali) degli uomini di legge. Si può dire che la vera indagine non la fanno i due detective ma la fa la serie televisiva sui due protagonisti: visti in momenti di vita quotidiana, scandagliati, ripresi nei momenti più difficili e dolorosi, in diverse epoche, da diverse prospettive.

All'apparenza Marty e Rust non potrebbero essere più diversi, la classica coppia di poliziotti che vive in mondi diversi: uno è un "pessimista cosmico" che ama citare Nietzsche, non crede in nulla e sembra sempre sull'orlo dell'autodistruizione, l'altro invece è un classico padre di famiglia felice, senza problemi che non riesce a capire il suo partner lavorativo.

In realtà già dalla seconda puntata la prospettiva comincia a cambiare e le cose non stanno esattamente così.
Rust in realtà ha perso la sua famiglia in modo tragico e questa perdita lo ha annientato, non riesce più a trovare un motivo per il quale la vita debba essere vissuta visto che fondamentalmente non ha senso ("Siamo dei semplici oggetti che si affannano inseguendo l’illusione di avere una personalità. Quest’accrescimento dell’esperienza sensoriale e dei sentimenti, programmato con la totale sicurezza che siamo qualcuno, quando in realtà tutti noi non siamo nessuno") ma allo stesso tempo non è capace di farla finita e tutto ciò che gli resta è il lavoro ("Dico a me stesso che sono un testimone. Ma la vera risposta è che, a quanto pare, è quello per cui sono stato programmato. E mi manca il coraggio di suicidarmi"). Tutto ciò che gli resta è il lavoro, appunto, un lavoro però fatto di sotterfugi, menzogne, di vita perennemente al limite e abusi di sostanze, dove non c'è spazio per la compassione, per la moralità, per il senso del giusto e dello sbagliato, eppure...

Marty è un padre di famiglia apparentemente felice: moglie, due figlie, stabilità economica, lavoro gratificante, eppure non riesce a trovare un senso nella propria vita, un proprio posto nel mondo, non riesce a scindere il lavoro dalla vita normale, si illude che riesca a gestire tutto: "bisogna decomprimere, prima di tornare a casa". In realtà il suo darsi un tono con i colleghi, i suoi appuntamenti amorosi con donne che vogliono essere tutt'altro che semplici ripieghi, la sua rabbia repressa, ci dicono che fondamentalmente la sua morale è affetta da doppiopesismo. Allora come dare torto a Rust quando dopo aver "salvato" una prostituta da un bordello e averle dato dei soldi si rivolge seccamente al collega con un "Cos'era, un anticipo?". Non c'è nessuna "decompressione", Rust trascura la sua famiglia e le sue figlie e i flashforward spesso ne mettono a nudo impietosamente le contraddizioni e gli errori che finiscono per ripetersi ancora e ancora in un circolo vizioso (ci viene ancora una volta in aiuto Rust: "Il tempo è un cerchio piatto. Tutto quello che abbiamo fatto e faremo, lo faremo ancora e ancora e ancora).

Due destini insomma che sembrano due rette parallele e che invece non solo finiscono per avere dei punti di contatto ma anzi si scontrano del tutto finendo per cambiare inequivocabilmente e portare a conseguenze inevitabili. Ma in tutto questo che ruolo gioca il caso dell'assassino denominato il Re in giallo? E' un mezzo, è il contorno, è la scintilla che porta i due detective a mettere da parte i loro problemi personali, è il filo che unisce i loro destini dal 1995 al 2012 e li fa reincontrare, che ci permette di vedere come sono cambiati e cosa faranno di nuovo assieme.

Molti hanno criticato la puntata finale proprio perchè troppo blanda, priva di colpi di scena, di cose non spiegate, di ami gettati nelle puntate precedenti e lasciati lì, senza un approfondimento. In effetti True Detective ha preso una scelta rischiosa e l'ha mantenuta sostanzialmente fino alla fine: essere un noir e non un giallo, anche se una parte delle critiche ha ragione nell'affermare che usare le false piste come cifra stilistica può deludere lo spettatore. Ci sono forse troppi scheletri nell'armadio, troppe questioni irrisolte, troppi "punti oscuri".

Ecco, il tutto si riduce alla luce e al buio: non tutto può essere risolto, la vita è sostanzialmente un universo pieno di oscurità, che è di molto superiore alla luce (la malvagità, la crudeltà, i "punti oscuri", i criminali che la fanno franca, il dolore, il lutto...) ma a volte una piccola luce nell'universo riusciamo a vederla ed è forse quello il nostro posto nella vita, il motivo che ci fa andare avanti.

Rust era determinato a risolvere un caso che alla fine avrebbe mantenuto molti colpevoli impuniti, molti punti oscuri, che non poteva portare ad un finale perfetto che avrebbe riportato completamente alla giustizia, ma una piccola luce però è riuscito ad accenderla, sia a livello investigativo che personale (il bellissimo monologo finale racchiude un po' il senso della sua esistenza e della serie stessa). Un plauso quindi a McConaughey che finisce per prendersi i riflettori, ma Harrelson è al suo stesso livello per tutto il telefilm: il suo è un ruolo difficile, pieno di contraddizioni, deve risultare prima rassicurante, poi spregevole, poi di nuovo deve riavvicinare il pubblico al suo modo di fare e infine deve essere il tramite attraverso il quale Rust arriva al monologo finale (la luce nell'oscurità è anche lui, alla fine per la prima volta Marty lo chiama "amico").

Una serie insomma piena di grandi cose: dalla regia, alle prove attoriali, ai riferimenti e le citazioni, agli spunti di riflessione nel quale quello che attiene al killer e alla risoluzione del caso è volutamente sullo sfondo. Chi cerca il classico giallo fatto di misteri da risolvere e di detective infallibili farebbe meglio a cercare tutt'altro.

PRO
- Due attori bravissimi che fanno restare i loro personaggi impressi nella memoria
- Grandi dialoghi
- Citazioni e riferimenti a iosa
- Gli sbalzi temporali che ci aiutano a mettere meglio a fuoco la personalità dei protagonsiti ci spingo a chiederci "come saranno arrivati a questo punto"?
- regia e fotografia magnifiche
- ottima colonna sonora

CONTRO
- La cattura del killer è un mezzo e non un fine
- I personaggi di contorno vengono relegati troppo sullo sfondo

Voto 8,5

Nessun commento: