lunedì 7 luglio 2025

Squid game - terza stagione (2025)

Dici Netflix e dici Squid Game. Poche altre serie TV sono così immediatamente identificabili col servizio di streaming che le ha pubblicate. Pur nella sua scarsa originalità, infatti, è fuori di dubbio che la serie coreana sia stata tra le più viste e celebrate degli ultimi anni, tanto da creare un vero e proprio culto (non si contano le citazioni della sua particolare iconografia e delle sue musiche) in altri ambiti. Si può dire che Squid Game abbia sdoganato non solo le serie TV orientali ma proprio le produzioni non americane in generale. E non è una cosa affatto banale.
Fa strano pensare che, nonostante tutto questo seguito e questa importanza, la serie abbia esaurito il suo ciclo vitale in sole 3 stagioni (in realtá più 2 stagioni "mascherate" da 3, a ben vedere). Siamo infatti in un'epoca nella quale le serie vengono munte fino all'ultima goccia possibile, facendole durare decenni, molto spesso fino a trasformarle in altro. Ogni serie dovrebbe terminare quando ha esaurito tutto quello che aveva da dire, indipendentemente dal successo che ha o dal seguito di pubblico, perchè continuare ha solo l'effetto di buttare tutto in vacca. E questo è un merito di Squid Game: sceglie di chiudere e chiudere bene quando è il momento giusto. Senza inutili annacquamenti. Ma pure qui c'è un ma. E' una malattia della quale ogni serie non prodotta in USA purtroppo soffre e neppure qui ci si sottrae. E ci arriveremo poi.

""C'è un biglietto con su scritta una frase:"chi si ritira dai giochi è un sacripante". Cos'è un sacripante?""


Spacciataci come terza stagione, in realtá gli episodi conclusivi sono semplicemente la seconda parte della seconda stagione. Abbiamo dovuto aspettare ben 3 anni, infatti, tra la prima e la seconda e solo qualche mese tra la seconda e la terza. Inoltre questi 6 episodi finali (decisamente pochi per chiudere tutte le questioni in sospeso) sono la diretta continuazione di quelli precedenti: Gi-hun disilluso dopo il tentativo di rivolta andato male è ormai consapevole che il gioco è destinato ad andare avanti fino alla fine. Se era "rientrato" con lo scopo di salvare i giocatori e sconfiggere il "game-master", ha dovuto ridimensionare sempre più le sue aspettative e prospettive nel corso delle puntate, tanto che il tutto piano piano si trasforma per lui in una replica della prima partecipazione, se non fosse...Se non fosse che stavolta, come abbiamo visto nella prima parte, ci sono altri jolly che cambiano le carte in tavola: la guardia numero 11, che ha lo scopo di fare fuggire uno dei concorrenti e il poliziotto Jun-ho, intenzionato a trovare l'isola dove si svolgono i giochi e a mettere fine a tutto. 
Se da un certo punto di vista questi diversi piani e diverse prospettive aiutano a "staccare" dai giochi e ad evitare una ripetitività che si cominciava ad avvertire giá durante la seconda stagione, dall'altra rendono tutto più spezzettato e tirare le fila di tutto in poco tempo diventa più difficoltoso e affrettato. Basti vedere il modo nel quale si susseguono, fin troppo velocemente, le morti di personaggi costruiti minuziosamente in precedenza o la scena finale, che cerca di dare una chiusura fin troppo veloce al vissuto di buona parte dei personaggi. 
Altro problema non da poco è l'uso invasivo della computer grafica, che toglie forza emotiva a determinate situazioni, con l'apoteosi rappresentata dalla bambina in CGI. Ma davvero non si potevano usare altri artifici? Quello che, da un certo punto in poi, dovrebbe essere il fulcro di tutte le decisioni prese da Gi-hun, il motore che lo spinge ad andare avanti, perde invece quasi tutta la sua forza propulsiva ogni volta che compare a schermo. Affloscia ogni spirito empatico. Un vero peccato. 

"Non posso morire: devo ancora pagare la prima rata della mia assicurazione sulla vita"


Messi da parte i difetti strutturali, la terza stagione funziona invece dal punto di vista concettuale. Se la riflessione sulle classi sociali della prima stagione aveva lasciato spazio in seguito a qualcosa di più universale, qui il fulcro della riflessione è il concetto di umanitá e di ereditá. Cosa ci distingue dagli animali? Cosa ci rende migliori di loro? Cosa lasceremo alle generazioni future? Ha senso dare la vita in un mondo nel quale qualsiasi forma di empatia (anche nei confronti dei più deboli e indifesi di tutti) è ormai merce rarissima? E' proprio l'orrore, quindi, il leit motiv di tutta la storia dell'umanitá? Senza voler scomodare il pessimismo alla Thomas Ligotti, le risposte a queste domande non inducono certo all'ottimismo, anzi. La frase finale di Gi-hun è in questo senso emblematica e racchiude perfettamente le intenzioni degli sceneggiatori e il senso della stagione.

"Invece delle solite canzoncine da bambini per una volta non potreste mettere una canzone che dia la carica? Chessò, qui ci stava bene Jump dei Van Halen"


Purtroppo, come accennato in precedenza, il buon finale viene "sporcato" dall'accenno ad un ampliamento del brand, a voler seguire ancora una volta la classica legge non scritta dell'intrattenimento: se qualcosa che non è americano funziona e ha successo allora prima o poi dovrá essere americanizzato. Una sorta di complesso di inferioritá che colpisce sempre più le produzioni europee ed asiatiche e qui per rendere ancora più chiaro il concetto abbiamo perfino una guest star ad effetto che rende tutto ancora piu esemplificativo. Dovessero avere ragione loro prepariamoci pure un domani ad ulteriori reiterazioni. Squid Game: Berlino, Squid Game:Londra ecc. Squid Game: Roma probabilmente no, che noi in Italia il cinema e le serie di genere abbiamo dimenticato cosa siano. 

PRO

- Le domande che pone non sono banali e neppure rassicuranti
- Pur con una certa ripetitività i giochi appassionano ancora
- Più o meno tutte le questioni vengono chiuse 

CONTRO
- L'uso della CGI
Ad un certo punto tutto si fa troppo frettoloso visto il poco tempo a disposizione
- La scena finale, che allude ad una americanizzazione del brand. 

Voto 7,5



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