lunedì 17 marzo 2014

The Bridge - Stagione 1 [Serie TV 2013]

Ciudad Juárez è considerata la città più pericolosa al mondo, non stupisce che possa essere oggetto di interesse da parte della serialità televisiva, soprattutto se scegli di girarci su un poliziesco. Un luogo così pericoloso sede di centinaia di bande armate che allo stesso tempo è situato a due passi dagli Stati Uniti, El Paso per la precisione, dove l'immigrazione clandestina è all'ordine del giorno. The Bridge è una serie televisiva basata proprio su questo conflitto tra nazioni (Usa e Messico) e mentalità, tra due concetti diversi di giustizia e di lotta alla criminalità, due mondi diversi divisi da un ponte che è il luogo delle vicende.

I due protagonisti sono due detective che per cause di forza maggiore (conflitti di attribuzione) si vedono costretti a indagare assieme su un omicidio "molto particolare".

Marco Ruiz è un poliziotto messicano costretto quotidianamente a scontarsi con i compromessi e con la corruzione dilagante nel suo distretto, che lotta per mantenere una propria moralità e un proprio modello di giustizia

Sonya Cross è una detective affetta dalla sindrome di Asperger, che dopo aver perso tragicamente la sorella si è rifugiata completamente nel suo lavoro: meticolosa, quasi lontana dalla realtà, priva di emozioni.
Entrambi si ritroveranno loro malgrado a dover collaborare, non senza una certa antipatia iniziale, per sbrogliare la matassa.

In realtà il caso iniziale non è che la punta di un iceberg, lo spunto per parlare di molto altro (corruzione, vendette personali, serial killer, trafficanti...), il primo tassello di una vicenda che cambierà per sempre le loro vite.

Il telefilm è già dall'inizio molto particolare: piuttosto che concentrarsi su un solo caso, sceglie di seminare numerosi tasselli, apparentemente scollegati e di inserire un insieme di sottotrame e personaggi all'inizio poco chiari (il misterioso Steven Linder o il giornalista alcolizzato Daniel Fry...).
Tutto questo incuriosisce e allo stesso tempo disorienta, intere puntate sembrano raccontare cose che poi in seguito verranno momentaneamente accantonate. Non tutto alla fine risulta collegato ma si riece ad avere un quadro abbastanza preciso di tutti i personaggi. Anche il modo in cui si sceglie di chiudere la prima stagione è piuttosto inusuale: si chiude il caso principale a due puntate dalla fine e poi nelle ultime due si apre quello che in realtà rappresenterà ciò che vedremo meglio nella seconda stagione, salvo inserire negli ultimissimi minuti un semi-cliffhanger.

La forza maggiore del telefilm è però quella di mostrarci dei personaggi ben caratterizzati e il loro diverso modo di rapportarsi alle stesse situazioni, soprattutto quelli principali.
Marco Ruiz sembra all'inizio un semplice poliziotto ma si rivelerà alla fine il vero catalizzatore di tutto, è il legame tra quasi tutti i protagonisti della vicenda, sia "buoni" che "cattivi". Le sue scelte, anche quelle apparentemente irrilevanti ai fini della trama, alla fine saranno invece importantissime nell'economia della vicenda. Come i suoi tradimenti coniugali, che non servono solo ad approfondire il personaggio ma saranno la miccia stessa di molti eventi futuri, anche quelli più spiacevoli.

Demián Bichir (già visto in Machete Kills) offre un'ottima interpretazione: bravissimo nell'alternare ironia, depressione, compassione, odio. Anche quando sceglie di adottare comportamenti non del tutto ortodossi il tutto sembra naturale, figlio della sua storia personale e della sua posizione di poliziotto nella città più violenta al mondo.

Più complicato il ruolo di Sonya Cross, difficile caratterizzare un personaggio che di fatto non deve suscitare emozioni, anzi a volte deve sembrare del tutto assente, che spesso sceglie la razionalità al buon senso e quindi può risultare perfino un po' antipatico. Diane Kruger soprattutto nelle prime puntate fatica un po' ad entrare nel personaggio, a convincere appieno, poi riesce a recuperare grazie all'interazione con Bichir e alla fine raggiunge l'obiettivo: riesce a coinvolgere anche con un personaggio che deve risultare poco coinvolgente.

Il resto del cast se la cava bene, ritroviamo anche un Ted Levine alle prese con un personaggio piuttosto simile a quello del capitano Stottlemeyer nella serie Monk (e il suo rapporto con Sonya Cross a volte ci conduce verso strani Deja-vù).

Merita sicuramente di essere recuperata

PRO: -  riesce a catturare
- fornisce ottimi spunti di riflessione su temi delicati (immigrazione, corruzione, sfruttamento)
- ci offre una strana coppia di detective che funziona

CONTRO: - qualche difetto inerente alla gestione delle trame secondarie (forse troppe e un po' fumose)
- Alcune questioni vengono trattate in modo superficiali (aspettiamo seconda serie)


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