Ci sono serie che già dopo una stagione sembrano aver esaurito tutto quello che avevano da dire. Ce ne sono altre invece che potrebbero andare avanti all'infinito. Serie che scelgono di restare immancabilmente sempre fedeli a sé stesse e alla propria formula eppure continuano a non annoiare. Accade ad esempio a Slow Horses, che nel corso delle sue stagioni ha acquisito sempre maggiori consensi, tanto da diventare probabilmente la serie di punta di Apple TV. E anche quelli degli Emmy se ne sono accorti.
Il segreto della sua riuscita sta nell'essere una spy story che però rifugge da tuti i classici cliché delle spy story, che molto spesso finiscono per renderle noiose e un po' tutte simili tra loro: lo stile troppo serioso, la recitazione impostata, le trame cervellotiche e complesse che spesso però non vanno da nessuna parte. Slow Horses è invece veloce, diretta, senza fronzoli, piena di dark humor e di personaggi stupidi, avventati, anarchici. I ronzini di Jackson Lamb non stanno nella serie b dell'MI5 perchè incapaci (non tutti almeno) ma perchè sono fortemente allergici al sistema e hanno la forte propensione a fare di testa loro. Ma sono maledettamente bravi (o quantomeno perspicaci), per questo i pezzi grossi del Park scelgono comunque di non rinunciarci, pur relegandoli in panchina. E' anzi tra le fila di questi ultimi che spesso si trovano elementi discutibili, che finiscono per commettere errori su errori che poi addosseranno ai ronzini. Gli "Slow Horses" sono insomma degli agenti buoni per tutte le situazioni, soprattutto quelle più spinose, adatti a qualsiasi contesto e minaccia per l'Inghilterra, anche se a volte queste minacce vengono innescate inconsapevolmente da loro stessi.
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