venerdì 7 marzo 2014

CARRIE (Lo Sguardo Di Satana) di Brian De Palma [VS] LO SGUARDO DI SATANA (Carrie) di Kimberly Peirce

Il nuovo sottogenere dei remake non risparmia questa pellicola di Brian De palma del 1976, divenuta cult del genere thriller horror.
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A cura di Napoleone Wilson
a Cura di Benvenuto Conte
Stephen King e il cinema, da sempre un rapporto controverso: quasi tutte le trasposizioni cinematografiche di suoi film si sono rivelate poco meritevoli e quando lo sono state erano opere del tutto staccate dall'opera originale (Shining) che lo scrittore non condivideva del tutto. Anche i tentativi "diretti" del Re del Brivido non hanno avuto un successo strepitoso (Brivido). Poche insomma le eccezioni, solo registi dal talento e dalla capacità innata hanno reso al meglio su pellicola le sue visioni orrorifiche (naturalmente non contano gli ottimi Stand by me e Le ali della libertà non appartenendo all'horror).
Tra questi vanno ricordati il già citato Kubrick di Shining (film mai andato troppo a genio a SK), il Carpenter di Christine, il sempre visionario Cronenberg con La zona morta, il sottovalutato Reiner di Misery non deve morire e l'esordiente Brian De Palma con Carrie, lo Sguardo di Satana. Singolare che questi film siano usciti tutti negli anni '80 o quantomeno a ridosso degli stessi, mentre dalla metà degli anni '90 in poi le trasposizioni cinematografiche di romanzi dello scrittore del Maine si siano rivelate quasi tutte dei flop.
Carrie è il primo romanzo di Stephen king ed è il primo che viene trasposto su pellicola, sia lui che De Palma sono ancora agli esordi e il film in effetti risente di una certa ingenuità ma ha dalla sua un impatto straordinario.

Come buona parte dei racconti di King anche in questo caso la tematica horror non è che uno spunto di partenza per parlare d'altro e Del Palma è bravissimo nel ricreare la giusta tensione, il giusto pathos, quella sensazione di inevitabile che sta per accadere. I paragoni ad Hitchcock magari sono esagerati ma sicuramente nel suo stile e nella sua cinematografia sono evidentissime queste ispirazioni.
La grande forza del film sta in questo: sappiamo già che Carrie non è come tutte le altre, che c'è "qualcosa che non va", che non è semplicemente una ragazzina "strana" ma il crescendo finale ha lo stesso un impatto devastante, colpisce sicuramente, è spiazzante (ricordiamoci che parliamo di un film del 1976).

La metafora sull'adolescenza e sul "sentirsi diversi" e non accettati dagli altri è sempre presente, gli spunti di riflessione sono molti, non si capisce dove finisce l'horror e cominci il film drammatico, tutto è amalgamato alla perfezione per portare al caos finale.
Tutto questo fu reso possibile anche dalla grande interpretazione di Sissy Spacek, all'epoca ventisettenne ma bravissima nell'interpretazione di un'adolescente all'apparenza indifesa.

Un film in definitiva imperfetto ma che può essere a buon diritto considerato un cult ed un film che ha segnato un epoca, contribuì a lanciare un giovanissimo John Travolta, uno scrittore di romanzi horror ancora sconosciuto e a far esplodere definitivamente un grande regista, niente male direi.

Riadattare il cult di De Palma, dopo un sequel e un adattamento tv non riusciti, era arduo. La Pierce sceglie di aggiornare la, sempre attuale, tematica del bullismo giovanile, con la “add-on” del cyber-bullismo, trasformandolo tecnicamente in una sorta di Carrie 2.0 (come si dice in gergo tecnologico riferendosi a una riproposizione moderna di qualcosa che c’era), rimanendo a grandi linee fedele all’originale nella trama. I nuovi media costituiscono infatti la cattiveria aggiunta in mano alle antagoniste, che divengono più “attualmente perfide”, e vicine alle cronache che ascoltiamo ai giorni d’oggi e in questo particolare periodo.

La scelta principale dei titolisti italiani stavolta è stata quella di invertire il titolo italiano con quello originale, passando così da Carrie, Lo sguardo di satana a Lo sguardo di satana Carrie. Il risultato appare quasi un’anticipazione del film che sarà.

Le principali differenze stanno infatti, proprio nel aver voluto sovvertire l’ordine emotivo dell’approccio al film. Mentre con De Palma si rimane quasi spiazzati dalla reazione tardiva della protagonista, con Pierce sembra che questa sia la naturale conclusione del tutto. I segni si manifestano in maniera più prepotente, tanto che in una scena non si può fare a meno di notare una citazione all’Esorcista di William Friedkin e sorridere a bocca storta.
Questo remake rimarca il lato oscuro del soggetto, svelandone sin da subito la vera natura. Così facendo ne perde però la tensione e il pathos. La sensazione che si prova nelle scene finali. Entrambe però mantengono la loro capacità di farci patteggiare per loro comunque vada. La vendetta è sempre un piatto che affascina quando ha il sapore di giustizia.

Nel ruolo di Carrie ritroviamo Chloë Grace Moretz di Kick Ass, che però non ha lo sguardo spiritato di Sissy Spacek dai grandi occhioni, il vero marchio distintivo del film originale. Per chi ha visto l’originale, la Moretz rimane solo all’ombra, in un confronto impari con la Spacek.
Meglio Julianne Moore, che nella parte della madre (fanatica religiosa) rende bene.

La regia invece è persino inutile paragonarla, visto che significherebbe paragonare un fuori classe ad un esordiente. Non ha quella carica nei primi piani e nelle angolazioni strane che un film del genere dovrebbe avere.
In definitiva un remake che subisce l’imponenza tecnica del cult intramontabile di De Palma, ma che in fondo, prima di vederlo, credevo peggio. Un remake che potrà essere propedeutico per la visione dell’originale ma che verrà dimenticato in fretta.


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