venerdì 13 ottobre 2017

BLADE RUNNER 2049 - Denis Villeneuve


Ho visto sequel che voi umani...

Più volte ho parlato di quanto sia "artisticamente svantaggioso", per un regista, cimentarsi con il sequel di un cult o di una pellicola che ha fatto la storia del cinema, ebbene qui si va ben oltre questo, dato che Blade Runner non è un film di fantascienza... Blade Runner è la fantascienza. Pietra miliare del genere è stata oggetto di ispirazione di numerosi film e citazioni (persino nella vita di tutti i giorni) uno dei film più belli della storia del cinema, per trama, montaggio, regia, fotografia e poetica, nonché unica trasposizione cinematografica di una sua opera letteraria, tra la miriade delle successive, che il visionario scrittore americano Philip Dick ha visto e apprezzato in vita. Pazzo sarebbe stato Denis Villeneuve se non avesse temuto il confronto.

E' forse proprio dalla paura di questo confronto che (nel bene e anche nel male) Blade Runner 2049 è venuto fuori.




Blade Runner (1982) narrava della rivolta dei replicanti ambientata nell'anno 2019 (ancora futuro anche per noi del 2017) e aveva in se interrogativi che si estendevano trasversalmente tra filosofia e scienza. Stavolta siamo nell'anno 2049. Trent'anni dopo la rivolta dei replicanti e NON mi scusino lo spoiler gli incoscienti che vorrebbero andare a vederlo senza aver visto il primo. Anche perché mi sono cadute le braccia a sentire quelli dietro chiedersi ad alta voce "chi cazzo è Deckard?".
Avevamo lasciato il nostro protagonista alle prese con la domandona esistenziale: "sono o non sono un replicante?" nata dall'interrogativo di fondo: "cos'è in realtà la vita?". Sì, insomma, cos'è che rende un vivente... vivo? Forse ché un'intelligenza artificiale altamente sviluppata non possa ambire a questo status? Quanti film abbiamo visto ispirati dall'argomento? Da L'Uomo Bicentenario a I.A.

Ridley Scott aveva le idee chiare a tal proposito, e in piena opposizione con la "mezza censura" impostagli dai produttori, nella sua director cut ci lascia "un origami" a supporto; cosa che nei cinema dell'epoca gli spettatori non avevano avuto, essendosi visti rifilare la versione politicamente corretta di un Harrison Ford umano in fuga.

La lotta ai replicanti nascosti non si è mai interrotta, anzi si è perfezionata, ma stavolta la situazione si è capovolta: a cacciarli si manda un replicante che sa di esserlo. La verità sconcertante che apprendiamo sta nell'evoluzione del concetto di base del primo film: Le ossa che il replicante K trova nella sua caccia appartengono ad una donna morta di parto, una donna, che in realtà, dopo un'approfondita analisi risulta essere una replicante. Boom! La deflagrazione del film è questa. La poetica può vivere una nuova dimensione. La scomoda verità deve essere celata per paura di una nuova e più potente rivoluzione d'armi e di pensiero; e nella sua indagine K sarà costretto, come era accaduto anche a Deckard, a guardare anche in se stesso.

Ecco, di solito sequel del genere vengono riproposti nell'anno in cui era ambientato il precedente, così come (per fare un esempio) nel 1997 uscì Fuga da Los Angeles, sequel di 1997 Fuga da New York. Da ciò è già come se trasparisse una sorta di impazienza creativa, nell'anticipo di due anni dal naturale omaggio. La potenza delle premesse filosofiche e il rispetto per il suo predecessore portano il regista a "girare un film coi guanti", persino eccessivamente artistico. Acclamato dalla critica ma indubbiamente non aperto al grande pubblico. La spontanea poetica del vecchio Blade Runner diviene allora a tratti forzata in 2049. Nel tentativo di non rovinare l'opera, Villenueve arricchisce il suo film di eccessive lungaggini, anche se queste non rovinano il prodotto finale. Blade Runner 2049 è un gran film, a cui manca però qualcosa per essere un capolavoro. Un film su cui si potrebbe scrivere un articolo "spin-off" che parli soltanto delle reazioni delle persone in sala.

Tale da non poter essere compreso a pieno da tutti, in questo coglie l'eredità del suo illustre predecessore e pare stenti al botteghino. I rimandi al primo si palesano in citazioni visive e audiovisive. La riproposizione di un "amore digitale" che sconfina nella citazione di Ghost. Gli elementi per fartelo apprezzare vengono disseminati in un post-futuro ancora più asettico e crudo. La vera scomparsa dell'umanità sta infatti nella scomparsa delle emozioni umane. Il mondo sovrappopolato del 2019 diviene uno scenario quasi desertico nel 2049. Naturalmente la dimensione resta notturna, atta a sottolineare l'assenza del calore, identificate psicologicamente con quello del sole. Un altro "film al neon" che pare più un "post apocalittico".

Ora... dato che Deckard lo ritroveremo, invecchiato, anche in questo sequel e che notoriamente i replicanti avevano vita breve, alla lunga avranno "vinto" i produttori? In tal senso il film dà una botta al cerchio e l'altro alla botte (come si suole dire) lasciando aperte entrambe le teorie per non scontentare i fan. Più che altro i fan sarebbero rimasti scontenti nel saperlo umano, ma presentandotelo da vecchio senza ammiccare al fatto che l'apparenza potrebbe ingannarci, questo sì sarebbe stato scontentare i fan.

Harrison Ford produce l'unica "battuta" di spirito di tutto il film. Suo il momento che spezza la pressione e la tensione emotiva che il film produce. Una sorta di rimando nostalgico, di quelli che strappano un sorriso amaro in un mondo divenuto senza "alcuna umana pietà".

voto 8-

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