© 14 Aprile 2014 |
Ian Anderson è sicuramente tra i compositori più prolifici della storia del rock, se pensiamo che tra il 1968 e il 1982 è riuscito col suo gruppo a pubblicare ben 14 album in studio (la media di uno l'anno), e molti di questi appartenenti a generi musicali diversi (dal blues iniziale, passando al folk, al progressive rock, al hard rock...), ci accorgiamo dell'incredibile creatività di questo artista scozzese.
Gli anni passano per tutti (contiamo 66 primavere) e anche Ian col tempo ha notevolmente diradato le sue uscite discografiche, preferendo negli ultimi anni dedicarsi alla sua carriera solista piuttosto che a quella col gruppo. Messo il flauto da parte? Macchè, anche da solista il nostro sceglie un approccio folk prog con spruzzatine di metal, anzi dopo aver composto Thick as a Brick pt. 2 (seguito di uno dei più famosi e apprezzati album dei Jethro Tull) rilancia con questo Homo Erraticus.
Per quanto riguarda l'aspetto prettamente musicale, come detto Homos Herraticus come sonorità ricorda molto da vicino gli album dei Jethro Tull: l'introduzione di Doggerland è fin troppo emblematica, con un intro di flauto che a tratti ricorda quello di Hunting Girl (da Songs form the wood). Ottimo brano, che spazia dal profumo folk delle strofe al ritmo più sostenuto del ritornello, ricordando certi album della metà degli anni 70'.
Enter the uninvited è un brano particolare, sostenuto da un insistente riff di chitarra al quale si aggiunge il flauto, con una parte vocale quasi parlata.
Puer Feros Adventures è forse il brano più prog dell'album, di sicuro quello dalla durata più elevata. Ad un inizio folk alla Benefit, davvero evocativo e riuscito, segue un crescendo più rock che porta il brano su lidi più prettamente progressive.
Riuscito anche lo strumentale Tripudium at Bellum, giocato tutto su un bellissimo assolo di flauto, coadiuvato dalla chitarra elettrica.
Tra i migliori brani c'è anche After these wars, ballata delicata e con un Anderson al suo meglio. Riuscito l'assolo di chitarra finale.
Ma di brani realmente brutti non ce ne sono, spiace che la restante parte (così come per l'album precedente) siano brevi bozzetti la cui durata supera di rado i 3 minuti (spesso comunque interessanti, come ad esempio Meliora Sequarum), magari qualche parte strumentale in più non avrebbe guastato, ma sicuramente si può dire che Anderson abbia fatto un buon lavoro.
Una piacevole sorpresa insomma: il buon vecchio Ian sforna un album decisamente gradevole, pieno di piccole chicche che faranno felici coloro che adorano le sonorità dei Jethro Tull, se siete tra questi è un acquisto decisamente consigliato.
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