giovedì 30 luglio 2020

Pendragon - Love Over Fear


Con colpevolissimo ritardo mi accingo a recensire l'ultimo album dei Pendragon, uscito ormai circa 5 mesi fa. 5 mesi fa, quando eravamo nel bel mezzo di una tempesta (in realtà non ne siamo purtroppo ancora usciti), attanagliati dalla paura, dall'insicurezza, incapaci di capire un qualcosa piú grande di noi, che era arrivato all'improvviso a sconvolgere tutto e tutti e senza la benché minima intenzione di levare le tende, non subito. Mesi che hanno mostrato il meglio di noi ma anche purtroppo il peggio. E' la natura umana.
Un pò tutto questo sembra essere confluito anche, piú o meno esplicitamente o volutamente, in questo "Love Over Fear", che già dal titolo mostra le sue carte.

Sebbene non si tratti di un concept album "canonico" (canzoni unite indissolubilmente da una storia comune) si può comunque parlare di un lavoro molto compatto, che ruota tutto attorno ad un'unica visione generale: una riflessione sull'uomo e sulla sua capacità di autodistruggersi. I testi riflettono infatti un bisogno di tornare a considerare la forza (benevola e maligna) della natura e di abbandonare tutte le futilità dei nostri tempi.

Queste tematiche si respirano anche tra le note stesse delle 10 canzoni presenti nell'album. Il gruppo infatti, dopo qualche lavoro forse un po' troppo sbilanciato verso sonorità piú immediate e rocciose, ai confini col prog-metal (Pure resta comunque uno dei loro album piú riusciti), decide di tornare al neo Prog di album come The Masquerade Overture o The World, cominciare dalla bellissima copertina
I pezzi hanno un'anima molto piú intima, acustica, a tratti perfino pastorale. Certo parliamo sempre dei Pendragon e non di Anthony Phillips ma sicuramente per quasi tutto l'arco del disco si sente il profumo di sonorità piú delicate e bucoliche.

Le tastiere dell'iniziale "Everything" ci riportano proprio alle sonorità degli album sopracitati: pezzo melodico, con un ottimo solo di chitarra alla Barrett e un'atmosfera molto anni 80' (voto 8, 5). Starfish and the moon sorprende per la sua delicatezza ed essenzialità: costruita quasi solo su piano (molto piú presente rispetto agli album precedenti) e voce. Nella parte finale si aggiunge la chitarra a contrappuntare quello che é un breve ma riuscitissimo pezzo (voto 8,5). Con l'ottima Truth And Lies sembra a tratti di ascoltare un fratello minore di Come Home Jack. Il pezzo però a parte qualche secondo pericolosamente molto simile ha una fisionomia tutta sua: acustica e delicata la prima parte, con anche un'ottima prestazione vocale di Barrett, poi l'ingresso della batteria e della chitarra elettrica regalano epicità al pezzo che in un bellissimo crescendo delizia le orecchie (voto 9,5).
360 Degrees é forse il pezzo piú immediato del disco, strutturato sui classici strofa/ritornello. Non mancano però delle sorprese, a cominciare dall'intro di mandolino che ci fa respirare atmosfere folk, aumentate dal "ritornello" che si avvale invece del contrappunto dei violini. Assimilabile ai pezzi meno complessi di The Jewel é molto godibile anche se forse inferiore ad altre cose piú strutturate dell'album (voto 8).
Soul And The Sea ci riporta a scenari piú delicati e sognanti. Il testo svolge mera funzione di accompagnamento ad un sottofondo musicale molto evocativo a base di tastiere, violini e chitarre. Ancora una volta la seconda parte si fa piú epica con un Barrett sugli scudi con un solo dei suoi che entra in testa e non ne esce piú (voto 8,5)
Eternal Light é uno dei pezzi piú lunghi dell'album e anche uno dei piú progressivi, con vari cambi di tempo ed atmosfera, pur mantenendo sempre un'anima molto melodica. Ottimo il lavoro tastieristico di Clive Nolan mentre ancora una volta Barrett sfodera un assolo dei suoi che piú classico non si può (voto 8+). Non é da meno la successiva Water, piú aggressiva, con chitarre piú in primo piano. Forse piú ordinaria nella sua struttura ma ugualmente piacevolissima da ascoltare (voto 8)
Whirlwind ci riporta invece ancora una volta a scenari piú intimisti e soffusi. Le atmosfere stavolta si fanno quasi jazzate e mettono in primo piano la voce di Barrett, che offre una prestazione inusuale, su un tappeto sonoro di piano. Il pezzo ricorda a tratti i momenti piú delicato dell'ultimo album dei Marillion.
Nel finale c'é spazio pure per un breve ma efficacissimo solo di sax (voto 7,5).
Al contrario, la successiva Who Really We Are é molto piú lunga ed é il collegamento piú diretto con Pure e Passion. Fin dall'intro simil Indigo capiamo di trovarci di fronte al pezzo piú rabbioso del disco. Questa "cattiveria" é percepibile anche nelle liriche, molto piú pessimistiche e disilluse. Le chitarre sono decisamente in primo piano e fanno molto piú uso di riff. Sicuramente il pezzo piú progressivo del disco e quello che mostra al meglio le qualità del gruppo (voto 9,5).
Afraid of Everything chiude infine in bellezza con un tocco (ancora una volta) acustico con un finale che scalda il cuore: tastiere e chitarre duettano in modo sublime dipingendo scenari sognanti che sfumano poi nel finale (voto 10).

Love Over Fear in definitiva é non solo una bella sorpresa, uscita fuori in un periodo tra i piú bui della storia mondiale, ma uno dei migliori album dei Pendragon. Tagliate via le ambizioni piú metalliche, il gruppo torna all'essenza del proprio sound, regalandoci e regalandosi una piccola perla che ci invita a riflettere sui tempi che viviamo, facendolo con un lavoro comunque piacevolissimo all'ascolto

Voto 9-

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