mercoledì 8 settembre 2021

Iron Maiden - Senjutsu


Sono passati ben 6 anni da The Book Of Souls, penultimo album dei Maiden. Di acqua sotto i ponti ne é passata, eccome. Si potrebbe perfino dire che viviamo quasi in un'altra epoca. Ma basta ascoltare i primissimi secondi di Senjutsu, nuovo lavoro della metal band britannica, per sentirci a casa, come se questi 6 anzianotti vivessero in una loro dimensione dove le regole del tempo non funzionano allo stesso modo.
Bastano i colpi della batteria di Nicko McBrain per ritrovarci su sentieri noti: epici, guerreschi, cruenti, con una spruzzata (stavolta) di oriente. E' di questo che si ciba la title track, posta come opener, ad aprire le danze in maniera potente ma mai invadente, con il suo andamento costante, le poche variazioni, tra schitarrate furiose e tamburi. Il cantato profondo di Dickinson é la ciliegina su una torta appetitosa, ma il meglio deve ancora venire (voto 8,5).

"Stratego", il secondo estratto dell'album dopo Writing on the Wall, é, per contraltare, un pezzo molto diretto e puramente maideniano. Classico riff veloce ma non velocissimo che ci conduce ad una song che ha il compito di stamparsi subito in testa senza tanti fronzoli. Non c'é molto da dire, molto gradevole, fa il suo senza stupire (voto 7)
Subito dopo troviamo l'altro estratto dal disco, la già nota "Writing on the wall". Ancora una volta un Nicko sugli scudi conduce le danze e ci porta su sentieri noti ma piacevoli, con le chitarre che ci regalano una assolo molto riuscito. Il ritornello é impossibile da dimenticare, orecchiabile ma non banale (voto 7,5).

Dopo 2 pezzi piú brevi e canonici "Lost in a Lost world" prova a rialzare l'asticella della complessità (quasi 10 minuti di saliscendi). Inizio molto delicato ed inusuale con un Bruce grandissimo. Sembra quindi di trovarci di fronte ad una piacevole ballata. Niente di piú sbagliato. Appena scoccano i 2 minuti si parte con un riff, non immediatissimo ma puramente maideniano e una parte centrale che a tratti sembra evocare stancamente le atmosfere di A matter of life and death. Il senso si già sentito comincia a farsi però piú forte mentre i riff continuano ad alternarsi ed avvilupparsi senza soluzione di continuità. Si rischia insomma che le montagne russe del brano ci conduciamo soltanto alla confusione, se ne esce poi però in grande stile. Cosí come era cominciato il brano torna sui suoi passi, si addolcisce ma stavolta acquista epicità e il cantato dona al pezzo un finale di sicuro effetto. Ci troviamo di fronte insomma ad un pezzo difficile da giudicare, che alterna cose pregevoli ad altre che fanno storcere un po' il naso (voto 7+)

‘’Days Of Future Past’’ ci riporta su territori piú immediati, classici che piú classici non si può. Il riffaccione molto anni '80 non lascia dubbi, cosí come il pezzo. E' maiden sound, di quelli senza fronzoli e senza sorprese, senza pretese oseremmo dire, quasi da filler. Stratego e Writing fanno la stessa cosa ma decisamente meglio. Però non é proprio una ciofeca, quello no (voto 6,5)

"The Time Machine" ci riporta però al "metal progressivo" con un saliscendi che stavolta appaga. Chitarre aggressive e melodiche che ti entrano subito in testa. Nulla é lasciato al caso, ci troviamo di fronte alla classica galoppata alla maiden nella parte centrale, con Bruce molto convincente. Non c'é un attimo di tregua, tutto cambia ad ogni battito d'ali e si fa ora piú aspro e ora piú epico. Sicuramente il brano piú "progressivo" finora, ma allo stesso tempo é uno dei piú scorrevoli e assimilabili al primo ascolto (voto 8+)

La Seconda metà di questo Senjutsu si apre con un pezzo davvero davvero inusuale. "The darkest hour" dal titolo potrebbe far pensare ad un pezzo metallico potentissimo e oscuro. Pure l'introduzione delicata e acustica (con tanto di suoni di gabbiani in sottofondo) non sarebbe da prendere come un segnale definitivo. Niente affatto. L'intro ci conduce davvero stavolta ad una ballad sofferta e sentita, con un Bruce Dickinson perfetto (il pezzo sembra quasi uscito da un suo album solista). Bellissimo l'assolo di chitarre, uno dei migliori dei maiden da 30 anni a questa parte. Insomma molto molto bene, non quello che uno si aspetta ma davvero ben fatta (voto 8).

“Death Of The Celts” inizia anch'essa in maniera delicata, acustica, ma sappiamo che stavolta non possiamo assolutamente fidarci. La durata, l'incedere iniziale alla "The clansman" ci fa presagire già quello che arriverà. E puntualmente non veniamo smentiti. Epicità a pioggia come solo i Maiden sono in grado di creare. Pezzo potente ma molto melodico, dove Dickinson scompare per gran parte del tempo per lasciare spazio ai 3 chitarristi che sembrano battagliare per prendersi la scena. Siamo di nuovo dalle parti del metal progressivo. Ci sono pure le tastiere che donano al tutto un sapore particolare ed accompagnano Dickinson mentre ritorna per breve tempo per la parte finale simile all'intro.
Un pezzo insomma imponente e cangiante, come nella migliore tradizione del gruppo (voto 8,5).

“The Parchment” alza ancor di piú la posta (é il pezzo piú lungo di tutto l'album) : intro orientaleggiante e misterioso. Molto potente, massiccio, con un riff minaccioso e un cantato rabbioso. Il pezzo é sicuramente tra le cose piú pesanti di questo Senjutsu eppure non manca un certo spirito melodico, saranno le tastiere che donano al tutto ancora una volta un sapore progressivo o saranno le chitarre che, come da tradizione, riescono sempre a risultare gradevoli in qualsiasi veste. Ancora una volta sembra di assistere ad un "triello" tra chitarre pieno di cambiamenti e di epicità. Non c'é che dire, questi ultrasessantenni ci sanno fare, ancora. Certo i tempi di Ryme of the ancient mariner sono lontani ma il pezzo non sfigura di fronte ai piú storici per durata e complessità del gruppo (voto 9).

"Hell on earth" chiude il terzetto dei pezzi forti dell' album. Dei tre é sicuramente il piú melodico. La classica intro acustica, stavolta piú breve, ci conduce ad un crescendo col classico incedere galoppante e, ancora una volta, epico. Stavolta però siamo piú vicini al progressive che al metal. Il pezzo é infatti molto gradevole e pur nelle sue continue mutazioni mantiene un impianto melodico con un ritornello (?) davvero riuscito. Ma come detto il pezzo non ha una struttura canonica ed anzi fa sfoggio di invidiabile camaleonticità grazie anche alle tastiere che dipingono atmosfere a tratti perfino sognanti nonostante le tematiche del pezzo. Basti dire ad esempio che prima di entrare Dickinson il brano va avanti per 3 minuti e oltre quasi come fosse uno strumentale. Difficile chiedere di meglio. Bruce Dickinson appare perfettamente a suo agio poi in questo tipo di song. (voto 9)

Si chiude cosí in bellezza un lavoro ben suonato, dalla struttura ben definita (una prima parte dove i pezzi piú immediati la fanno da padrone ed una seconda parte piú complessa che flirta spesso col progressive), piú compatto del precedente, che non sconvolge per originalità ma coinvolge per il suo essere rassicurante.
Magari non ci sarà un pezzo destinato ad essere annoverato tra i classici dei classici e probabilmente neanche una nuova Empire Of The Clouds ma é un disco che non ha quasi mai momenti discutibili, un pregio non da poco.
I Maiden insomma sono tornati e sono ancora come li avevamo lasciati qualche anno fa. Scusate se é poco alla loro veneranda età.

Voto CD 1: 7,5
Voto CD 2: 8,5
Voto globale: 8+

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