venerdì 17 settembre 2021

Steve Hackett - Surrender of silence


Credevamo proprio che Steve Hackett, almeno per quest'anno, avesse già dato. Nei primi mesi dell'anno infatti era uscito "Under a Mediterranean Sky", ennesimo lavoro appartenente al filone acustico del chitarrista. Perché va bene che, nonostante la veneranda età, parliamo di uno degli artisti in assoluto piú prolifici a livello di uscite, ma due album in un anno...
E invece no, qualche giorno fa Steve ti sforna questo Surrender of Silence, un album che non ha nulla in comune col precedente e che si inserisce nel filone delle uscite a carattere progressive rock dell'artista. E in questo caso rock é la parola giusta: piú che nei lavori precedenti in Surrender of Silence é presente un approccio ancora piú duro, a tratti perfino vicino al prog metal.
Già l'intro, della durata di un paio di minuti mette, in chiaro le cose presentandoci un riff che verrà ripreso in seguito dalla rocciosa, Fox's Tango. 

Per stessa dichiarazione di Hackett questo lavoro vuole essere un vero e proprio viaggio sonoro in un periodo nel quale viaggiare é diventato sempre piú complicato. Con Natalia allora, primo vero brano del disco, veniamo trasportati tra le steppe russe. Le citazioni agli artisti classici di quelle terre sono evidentissime e il taglio orchestrale finisce forse per appesantire un po' troppo un brano che comunque regala arie pregevoli, soprattutto nella seconda parte quando entra in campo la chitarra elettrica (voto 7)
Relaxation Music For Sharks (Featuring Feeding Frenzy) é Invece uno strumentale dall'introduzione (oltre che dal titolo) misteriosa, che si apre poi verso sonorità piú rock e tipicamente hackettiane (avete presente Please don't touch?). Nulla di mai sentito o di eccezionale ma il solito mestiere di Steve riesce a tenere in piedi il tutto brillantemente (voto 7).

Si stacca nettamente con Wingbeat (già fatta circolare da qualche tempo e quindi già nota), che ci regala uno Steve completamente immerso in sonorità tipicamente "World", genere che potrebbe sembrare distante dal chitarrista ma inseguito sempre piú di frequente negli ultimi tempi (dopo gli esperimenti non del tutto riusciti degli anni '80 con Till we have faces) e fatto suo. Le melodie dipinte dall' elettrica poi sono un marchio di fabbrica e ci stanno bene un po' su tutto, riuscendo ad arricchire un pezzo molto molto gradevole che cresce con gli ascolti (voto 7,5) 

Sì cambia immediatamente registro con la successiva The Devil's Cathedral. Un organo minaccioso infilzato da note stridule di sax ci introduce ad una composizione piuttosto oscura ma stavolta pienamente hackettiana che, per l'occasione, vede alla voce non Steve ma il fidato Nad Sylvan. Scelta azzeccata visto che come detto si tratta del pezzo piú progressive rock del disco, con la classica sfuriata chitarristica nella seconda parte del pezzo (voto 7,5)

Held in Shadows indurisce ulteriormente i suoni, con la chitarra elettrica a farla da padrone. Bello anche il lavoro di batteria che conduce il pezzo ad un crescendo potente e di grande effetto. Una delle composizioni dell'album piú immediatamente assimilabili e che restano subito impressi, grazie anche ad un ritornello (a piú voci) efficace e ad una seconda parte che riprende lo stile di Sleepers (uno dei suoi pezzi migliori degli anni recenti) ma con un incedere ancora piú rock (voto 8,5)

Ancora meglio fa la bellissima Shanghai To Samarkand. E' proprio in questi casi che ci viene in mente l'idea di "viaggio sonoro" prospettata da Steve. Gli 8 minuti e mezzo che ci aspettano sono infatti un insieme di atmosfere, ritmi, cesellature, profumi appartenenti a diverse zone geografiche che si alternano senza soluzione di continuità e senza mai apparire forzati. Un pezzo progressive nell'accezione piú radicale del termine, quasi tutto strumentale, in cui sono si sa mai cosa aspettarsi: ritmi orientali (che pescano anche da Spectral mornings), chitarre ora potenti, ora acustiche, ora dai ritmi sostenuti per poi distendersi in tappeti sonori rarefatti e misteriosi. Un brano da gustare con l'attenzione che merita (voto 10). 

Irrompe a quel punto col suo fragore la già citata Fox’s Tango e siamo dalle parti del metal. Basso e batteria pulsanti, riff massicci, una seconda parte pirotecnica nella quale Steve si lascia andare in assoli al fulmicotone. Una canzone che fa dell'accessibilità e del ritornello dei punti di forza, arricchiti da un testo a sfondo sociale. Niente male (voto 8,5)

Day Of The Dead mantiene le stesse caratteristiche "metalliche" speziandole con sonorità piú esotiche ed un cantato piú dimesso, risultando meno immediata all'ascolto. Un bel riff potente e una parte finale tambureggiante chiudono il quadro di una composizione particolare, da assorbire con gli ascolti, che sa regalare momenti pregevoli magari immediatamente non riscontrabili (voto 8-) 

Scorched Earth é, per contraltare, sicuramente il brano piú melodico del lotto, Uno di quelli dove Steve sa come toccare le giuste corde (della sua chitarra e del cuore dell'ascoltatore). Nulla di complesso o di eccessivamente progressive, solo una bellissima ballata fatta di uno stile riconoscibilissimo ed emozionante. Un ottimo modo per chiudere l'album (voto 9).
Esperanza infatti non é che una breve coda acustica, molto piacevole. 

Insomma quasi dal nulla Steve se ne esce con l'ennesimo disco che sa il fatto suo. Forse meno omogeneo di altri (come lo era stato il precedente), con una prima parte che fatica a carburare, ma che ancora una volta ci regala un pugno di composizioni di gran classe. Un album che si potrebbe dire che osa perfino (per quanto possibile) di piú dei precedenti, adottando generi e soluzioni apparentemente lontane dal musicista (metal, world music). Cosa si può chiedere di piú? 

Voto 8


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