venerdì 21 dicembre 2012

TUTTO TUTTO NIENTE NIENTE – Giulio Manfredonia

Se Orwell fosse vissuto ai nostri giorni si sarebbe accorto che la fantapolitica è più comica di quello che pensava. Oggigiorno i politici e i governanti non sono proprio quei grigi calcolatori senza cuore e senza sorriso, come ipotizzava il noto scrittore, ma sono più comici dei satiri che li scherniscono, tanto che ormai questi ultimi faticano quasi a tenere il loro passo.

Il nuovo film di Antonio Albanese, si presenta come la naturale continuazione di Qualunquemente ma a differenza di questo è un film demenziale, che perde la crudezza del suo predecessore il quale era più un film drammatico mascherato da comico. Stavolta Albanese si fa in tre, ripescando il personaggio di Frengo Stoppato (il celebre foggiano di Mai dire gol) affiancandolo fisicamente nelle riprese alla new entry Adolfo Favaretto (razzista, secessionista che vuole annettersi all'Austria) e naturalmente a Cetto Laqualunque.

Tutti e tre passano, in pieno stile italico, letteralmente dalla galera al parlamento ma potete star sicuri che incontreranno gente peggiore di loro. Il film, come già detto, è volutamente caricaturale ma non per questo meno vero della tragicomica realtà, prendiamo ad esempio il parlamento rappresentato come uno stadio con tanto di curve in cui i protagonisti non sono quelli che scendono in campo (il governo) ma coloro che urlano sbraitano e tifano sulle curve… ditemi se non succede questo anche nel vero parlamento. Il regista da’ ai suoi politici una forte caratterizzazione da antica Roma, volendo così fare un parallelismo con la degradazione morale già vissuta all’epoca. Riuscito in tal senso il cammeo muto di Paolo Villaggio (qui uno dei membri del governo), direttamente dal suo Fantozzi ripesca la scena di quando si ingozzava nella clinica per dimagrire e ne fa un personaggio a se stante che ben rappresenta l’ingordigia della politica moderna.

Un film che tratta (o cerca di farlo) anche la spinosa questione dell’ingerenza della Chiesa nella vita politica. La madre di Frengo Stoppato (Lunetta Savino) non si accontenta di far entrare il figlio in parlamento ma vuole addirittura farlo beatificare da vivo, per far questo cercano di “oleare il sistema vaticano” ed è qui che la stilettata di Albanese si insinua nella teologia più spinta. Una ragazza madre che partorisce un figlio grazie ad una sorta di inseminazione artificiale ante litteram, cresciuto da un uomo che non è suo padre… “non la definirei proprio famiglia tradizionale”.

Adolfo Favaretto invece è un imprenditore del nord che recluta gli extra comunitari per fare la secessione, incaricandosi lui stesso di traghettarli nel bel paese, simbolo di un nord razzista e retrogrado che considera la forza lavoro come una macchina atta a ricevere ordini ma che va spenta a lavoro finito.

Cetto invece mantiene anche qui la sua aurea drammatica, molto più impegnato in un percorso personale che nella contesa politica che lo vede del tutto indifferente, figura per lo più prestata a questo film che esula dalla storia stessa come un politico assenteista che non si presenta neppure alle votazioni. E’ il compromesso per tenergli la bocca chiusa sui fattacci del sottosegretario ma anche il compromesso per continuare l’opera già iniziata con Qualunquemente. Il personaggio che più nel fil fa ridere davvero.

Queste tre fiere dantesche aiutano a confezionare un buon film, spassoso e pungente, da non perdere per chi ha già visto Qualunquemente ma da non paragonare con il precedente, che resta comunque il migliore dei due.

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