© 28 aprile 2015 |
Gli Arena sono un gruppo piuttosto particolare nell'ambito del neo prog: non sono nati durante la prima ondata anni '80 che ha portato alla ribalta band come Marillion, Pendragon, Iq, ma allo stesso tempo ne fanno comunque parte. Pur essendo nati infatti circa un decennio dopo le suddette band, tra le sue fila militano proprio alcuni componenti delle stesse, tanto che potremmo parlare di un "supergruppo".
I due fondatori (nonchè unici membri presenti in tutti gli album) portano il nome di Mick Pointer (batterista silurato dai Marillion dopo il primo album) e Clive Nolan (un prezzemolo della scena prog ma ricordato principalmente per essere il tastierista dei Pendragon).
L'intento iniziale era appunto quello di ripercorrere il sentiero tracciato dai Marillion (abbandonato dopo l'addio di Fish) e infatti i primi album possono essere considerati affini a quelli composti dalla band di Steve Rothery. Durante gli anni molti sono i musicisti e i cantanti che si sono avvicendati e anche il sound ha subito nel corso del tempo un'evoluzione che ha portato dapprima verso lidi quasi prog-metal (Immortal, Contagion) per poi approdare ad un neo prog semplice e "da stadio", fatto di riff insistenti e potenti ma sempre molto melodici.
E' in questa scia che si inserisce anche l'ultimo album, The Unquiet Sky, uscito qualche giorno fa, che vede nelle vesti di cantante Paul Manzi (alla sua seconda "partecipazione) e che esce proprio a 20 anni di distanza dal disco d'esordio (Songs From The Lion's Cage) Unquiet sky è un concept album che prende spunto da una storia breve di M.R. James del 1911 (Casting the runes), successivamente adattata per il grande schermo negli anni '50. Le sonorità ricalcano perfettamente queste atmosfere dark e soprannaturali, con un uso efficace delle tastiere e delle chitarre, in grado di evocare paesaggi tenebrosi e misteriosi mentre i testi come al solito sono profondi e "letterari" come da tradizione di Nolan.
I brani iniziali sono emblematici: "The Demon Strikes" e "The Bishop of Lufford" mettono in luce perfettamente quelle che sono le qualità del gruppo: "potenza melodica" e pathos, con assoli mai troppo lunghi ma ottimamente congeniati. Nel mezzo l'ottima ballad "How Did it Come to This?": semplice eppure "contagiosa".
Il breve (poco più di due minuti) bozzetto "Oblivious to the Night" ci porta a quello che è forse il miglior pezzo dell'album, "No Chance Encounter": inizio quieto e quasi teatrale, poi dalla metà in poi poi il pezzo cresce di intensità dapprima con un assolo di chitarra elettrica riuscitissimo e successivamente con un finale "epico" dove anche Manzi si mette particolarmente in mostra. "Markings on a Parchment" è un altro breve pezzo di raccordo, mentre la title track, così come "How Did it Come to This?" è una semiballad impreziosita da tappeti di tastiere misteriosi e inquietanti (bello anche l'assolo di chitarra, come quasi tutti quelli dell'album).
I due fondatori (nonchè unici membri presenti in tutti gli album) portano il nome di Mick Pointer (batterista silurato dai Marillion dopo il primo album) e Clive Nolan (un prezzemolo della scena prog ma ricordato principalmente per essere il tastierista dei Pendragon).
L'intento iniziale era appunto quello di ripercorrere il sentiero tracciato dai Marillion (abbandonato dopo l'addio di Fish) e infatti i primi album possono essere considerati affini a quelli composti dalla band di Steve Rothery. Durante gli anni molti sono i musicisti e i cantanti che si sono avvicendati e anche il sound ha subito nel corso del tempo un'evoluzione che ha portato dapprima verso lidi quasi prog-metal (Immortal, Contagion) per poi approdare ad un neo prog semplice e "da stadio", fatto di riff insistenti e potenti ma sempre molto melodici.
E' in questa scia che si inserisce anche l'ultimo album, The Unquiet Sky, uscito qualche giorno fa, che vede nelle vesti di cantante Paul Manzi (alla sua seconda "partecipazione) e che esce proprio a 20 anni di distanza dal disco d'esordio (Songs From The Lion's Cage) Unquiet sky è un concept album che prende spunto da una storia breve di M.R. James del 1911 (Casting the runes), successivamente adattata per il grande schermo negli anni '50. Le sonorità ricalcano perfettamente queste atmosfere dark e soprannaturali, con un uso efficace delle tastiere e delle chitarre, in grado di evocare paesaggi tenebrosi e misteriosi mentre i testi come al solito sono profondi e "letterari" come da tradizione di Nolan.
I brani iniziali sono emblematici: "The Demon Strikes" e "The Bishop of Lufford" mettono in luce perfettamente quelle che sono le qualità del gruppo: "potenza melodica" e pathos, con assoli mai troppo lunghi ma ottimamente congeniati. Nel mezzo l'ottima ballad "How Did it Come to This?": semplice eppure "contagiosa".
Il breve (poco più di due minuti) bozzetto "Oblivious to the Night" ci porta a quello che è forse il miglior pezzo dell'album, "No Chance Encounter": inizio quieto e quasi teatrale, poi dalla metà in poi poi il pezzo cresce di intensità dapprima con un assolo di chitarra elettrica riuscitissimo e successivamente con un finale "epico" dove anche Manzi si mette particolarmente in mostra. "Markings on a Parchment" è un altro breve pezzo di raccordo, mentre la title track, così come "How Did it Come to This?" è una semiballad impreziosita da tappeti di tastiere misteriosi e inquietanti (bello anche l'assolo di chitarra, come quasi tutti quelli dell'album).
"What Happened Before" ci porta su territori più ordinari e poco entusiasmanti mentre "Time Runs Out" e soprattutto "Returning the Curse" si distinguono per un andamento molto "tastieroso": la prima è un pezzo quasi prog-metal affine ai pezzi degli album precedenti mentre "Returning the Curse" mette in luce un Nolan in ottima forma con tappeti di tastiere non complicatissimi ma molto efficaci e old-style.
Dopo un'altra ballata, "Unexpected Dawn" (più semplice e meno riuscita delle precedenti) l'album si chiude sulle note dell'ottima "Traveller Beware": quasi 8 minuti nella migliore tradizione Arena, tra saliscendi epico-sinfonici e teatralità, con un finale in crescendo energico e d'effetto.
In definitiva questo Unquiet sky ci consegna un gruppo in buona forma, lontano dalle vette dei primi album e dai barocchismi simil-marillioniani ma allo stesso tempo più progressivo e personale di quello che avevamo ascoltato in alcuni dischi del recente passato (troppo tendenti al prog-metal).
Nulla per cui strapparsi i capelli, ma sicuramente qualcosa di molto gradevole e che si fa ascoltare con piacere.
Voto 7+
In definitiva questo Unquiet sky ci consegna un gruppo in buona forma, lontano dalle vette dei primi album e dai barocchismi simil-marillioniani ma allo stesso tempo più progressivo e personale di quello che avevamo ascoltato in alcuni dischi del recente passato (troppo tendenti al prog-metal).
Nulla per cui strapparsi i capelli, ma sicuramente qualcosa di molto gradevole e che si fa ascoltare con piacere.
Voto 7+
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