venerdì 18 gennaio 2013

DJANGO UNCHAINED – Quentin Tarantino

Torna Tarantino e lo fa con un omaggio al cinema nostrano, ed in particolare allo Spaghetti Western, genere che ci ha dato tanta notorietà all’estero, con Leone e Morricone, accantonato poi come un vecchio poncho impolverato da una nazione che continua nella sua overdose di Fiction scadente o cinepanettoni. Il film è liberamente ispirato a Django di Sergio Corbucci (1966) con Franco Nero, ma si sviluppa su una sceneggiatura originale ricca delle caratteristiche che sono da anni il marchio distintivo del regista italoamericano.

E’ la storia di una lotta per la libertà, quella di Django (Jamie foxx) schiavo del sud liberato dal cacciatore di taglie tedesco King Schultz (Christoph Waltz), in cerca della moglie Brunhilda (Kerry Washington) comprata dal negriero Kalvin Candie (Leonardio Di Caprio) per la sua candie land, metafora razzista appunto della terra del candore bianco.

Django Unchained è un meraviglioso esercizio di stile ricco di citazioni e commistioni di generi, in grado ad esempio di inserire nella fantastica colonna sonora elementi antichi e moderni senza risultare fuori luogo. Gli omaggi si sprecano, come al solito, da Leone a Kubrick, dal cammeo di Franco Nero (a cui Django pretende di spiegare che nella pronuncia del nome la D è muta) a quello del regista stesso (come è ormai consuetudine), fino alla mitica sigla originale di Trinità, di Franco Micalizzi.

L’interpretazione dei personaggi è poi da incorniciare, da Di Caprio (sempre più snobbato dai pregiudizi dell’Accademy) a Samuel L. Jackson, da Jamie Foxx al sempre più fantastico Christoph Waltz.

E pensare che c’è gente (critici compresi) che va a vedere i film di Tarantino muovendogli sempre le stesse critiche, come se non ne avesse mai visto nessuno. A partire da chi lo giudica troppo violento, come Will Smith che ne ha rifiutato il ruolo di protagonista o Spike Lee che toppa alla grande considerandolo razzista senza nemmeno averlo visto (paradosso) quando invece è tutto il contrario. Come se la schiavitù non lo fosse stata e tutti i neri schiavizzati fossero stati trattati come quelli visti in Via Col Vento. Lo stesso Tarantino definisce la schiavitù in America alla stregua dell’olocausto (l’ha letta questa Spike?) e ne ridicolizza le credenze, come nella scena in cui impacciati membri del KKK, capeggiati da Don Jonson, disquisiscono sull’efficacia dei cappucci e della fattura dei suoi buchi. La violenza nei film di Tarantino è talmente grottesca da risultare persino esilarante, ma non per questo priva del significato che vuol trasmettere. Oppure le critiche che ho letto su Sorrisi&Canzoni, che lo definisce troppo prolisso, ma vogliamo scherzare? I dialoghi sono da sempre stati il sale delle sue sceneggiature, la componete fondamentale dei suoi film, il suo tratto distintivo, mai tanto funzionali in questo film.

Un film che, sia per durata che per tematiche, si avvicina più a Bastardi senza Gloria che alle opere precedenti più immediate e concentrate, forse non è al livello di questi (posso anche concedervelo) ma è da non perdere, non solo se si è ammiratori di Quentin Tarantino ma anche se si è amanti del Cinema con la C maiuscola.
E se proprio non vi piace “lo sapete di chi siete figli voi…”.

voto 8.5

Nessun commento: