Qualcuno, non a torto, l'ha definito "derbaccio" ma questo in sintesi è da sempre Toro-Juve, o almeno da quando una squadra nettamente più forte ne affronta un'altra mediocre, che ha in questa sfida l'unico obbiettivo stagionale, quello (quantomeno) di non sfigurare. Un partita storicamente giocata più con gli organi ("ci vuole cuore", "ci vuole fegato", "è un fatto di pancia" e discorsi simili) che con piedi, testa e tecnica, in cui il Toro ha solo uno scopo: portare la Juve al proprio livello e sfruttarne l'inerzia. E su questo punto di vista per onestà intellettuale bisogna ammettere che quasi sempre ci riesce, difettando. magari, spesso di scarsa autonomia. Alla Juve allora non resta che stare al gioco, pazientare e aspettare l'occasione giusta, dovesse anche volerci tutta la partita, tipo il piccolo filotto di vittorie ottenute in zona Cesarini.
E occasione alla fine c'è stata, come c'era stata contro l'inter (altra partita storicamente giocata sui nervi ma con più tecnica) in cui di nuovo un nostro ex (prima Asamoah poi Zaza) infrange l'antica legge e lancia Mazdukic a prendersi un rigore da abbattimento. In vero nel concorso di colpe i tifosi granata dovrebbero aggiungere l'avventatezza del portiere di riserva che frana addosso al Manzo, giocando anche loro col cognome più "memezzato" dal web per digli "Ichazo hai fatto!". Un intervento senza quel pizzico di furbizia o esperienza che magari avrebbe avuto Sirigu, uno che davvero si è immolato per la causa, impedendo a Ronaldo di portare la Juve in vantaggio sin dal primo tempo e poi uscito per infortunio come quei soldati a cui gli Stati Uniti danno le classiche medaglie al valore dei veterani feriti. Ronaldo, spesso frainteso come grande battitore di punizioni più per la sua carismatica postura che per i suoi numeri (inferiori a quelli Pjanic e Dybala) e però infallibile dagli undici metri e disinnesca persino il tentativo di Ichazo di farsi perdonare.
Una vittoria che bada più alla sostanza che alla forma, l'unico tipo di vittoria che sarebbe potuta arrivare da una gara del genere. Un match bifolco, su un campo da bestiame, nel vero senso della parola e non per sfottere i cugini chiamati con "folklore" bovini. Dopo il ghiaccio del sintetico "Stade de Suisse" le zolle del "Grande Torino" ma qualcuno ancora avrebbe voluto o sperava in un match spettacolare, magari per esportare un prodotto inesportabile per dar lustro alla decadente DAZN.
Se agli ingredienti ci aggiungete una Juve reduce dalle fatiche di coppa e notoriamente sofferente contro le medio-piccole ecco che Toro-Juve 2018 non poteva che essere questo. Ronaldo ne sa qualcosa con l'Atletico, un altra compagine che (fatte le dovute proporzioni tra granata e atleti) fa del "portarti al proprio livello" un vero e proprio credo. Qualcuno ha detto "l'Atletico è una squadra che gioca male e ti costringe a giocare come lei", ecco il Torino è un po' questo, non può colmare il gap con la Juve se non portando le lancette tecnico-tattiche della partite agli anni 50. Una squadra vintage per suo stesso credo e non è, di nuovo, una presa in giro ma una costatazione fatta da uno che non essendo di Torino non l'ha mai sentita particolarmente questa gara. Un credo fatto suo da anni da Mazzarri, anche agli anni del Napoli.
Un derby che tracciate le dovute somme, farà parlare di se più per il suo contorno che per la pietanza povera di sapore. Per la frecciata di Nedved a Marotta, le solite e istituzionali lamentele del Toro sugli episodi in area, ma soprattutto (e questo che a noi interessa) perché ha scritto nel tabellino il cinquemilesimo gol della Juve in Serie A. CR5000 già lo chiamano, nella storia di una Juve che tra i fegati spappolati ha raccolto la bellezza di 46 punti su 48 (quindicesima vittoria su 16 partite) a tre partite dal giro di boa, ecco che alla domanda retorica: "Di che stiamo parlando?" si è spesso portati a rispondere: "parliamo piuttosto di..." "la fatica che fa la Juve con le piccole", "la provocazione di Ronaldo su Ichazo dopo il rigore" "(l'inutile) brutta figura con gli svizzeri dello Youngh Boys" o piuttosto del cucchiaio di Icardi, del piatto di Ancelotti o del presepe di Insigne. Ma la verità, miei cari signori (Juventini e Antiju) è che la perfezione non esiste, e che se sia un bene o no è materia filosofica ma che se esistesse a quest'ora la Juve avrebbe portato a casa anche la gara col Genoa. Perciò badando alla sostanza davvero non è male essere a soli due punti dalla perfezione.
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