Alla fine siamo costretti anche a tenerci stretto questo pareggio, nella sera in cui sono venute fuori le prime vere ingenuità di questa Juve ancora sperimentale, non solo per l'esordio assoluto di Pirlo in panchina, ma anche per l'assoluta mancanza di un precampionato, come lo stesso mister ha sottolineato nelle interviste del post gara. Pronti via, dopo la Samp, il calendario ci mette subito di fronte un paio di esami di quelli tosti, senza l'opportunità di potersi preparare. Ma anche se la battuta su Suarez a questo punto verrebbe naturale a qualcuno, vediamo un po' di fare le persone serie e analizzare quanto abbiamo visto. Serie si fa per dire naturalmente.
Questo Roma-Juve è stata una partita che ha avuto due protagonisti assoluti, o meglio, un protagonista e un antagonista. Il villain che distrugge e l'eroe che ricostruisce. Il polo positivo e il polo negativo della gara insomma, a cui a se vogliamo possiamo aggiungere anche un terzo incomodo d'eccezione, proveniente dalle altre fila. Naturalmente si è capito subito a chi mi riferisco.
Il primo è il personaggio di una canzone dei Rolling Stones, I hope you guess his name, ma non è Lucifero bensì risponde al nome di Rabiot. Il francese è stata un'autentica sciagura, una piaga scesa dal cielo per cercare di farci perdere la partita. Prima col tacco a "liberare" Veretout, a due passi dall'area e in posizione centrale, poi col braccio largo a regalare il rigore allo stesso romanista, che ringrazia e segna, non senza un pizzico di fortuna dopo che Szczesny la prende ma la manda dentro col palo interno. E così, dagli di tacco e dagli di punta, nella ripresa si fa persino espellere, lasciandoci in dieci, in svantaggio e con un palmo di naso. Roba da cederlo seduta stante, prima della chiusura del mercato.
L'eroe manco a dirlo viene da Maderia, un'isola del Portogallo. È Cristiano (Ronaldo) e ripaga la Roma con la stessa moneta, guadagnandosi un rigore per un altro fallo di mano, stavolta giallorosso, e riacciufando la gara col suo solito esorcismo dal dischetto. O almeno provandoci, visto che l'eccessiva fiducia verso la punizione battuta sul finale del primo tempo si trasforma nel raddoppio della Roma in contropiede. Seconda frittata e tutto da rifare. Le forze del bene e quelle del male sembrano darsele di santa ragione.
È a questo punto che anche il terzo incomodo entra in gioco, una sorta di ateo bosniaco che non è voluto convertirsi. Colui che questa partita la doveva giocare con la nostra maglia ma che il destino ha voluto ci giocasse contro. Lo stesso destino per il quale pareva quasi scontato che dovesse segnare, proprio come nelle più classiche storie di questo tipo. Per quanto, è proprio quello che non mi è mai piaciuto in Dzeko a tradirlo e a graziarci, cioè la sua innata capacità di mangiarsi i gol facili, prediligendo i più difficili. È di fatto lui a tenerci in piedi con i suoi due errori clamorosi sotto porta, quindi diciamo che è stato il suo lato juventino-mancato a salvarci.
Ma tutto è bene quel che finisce bene, o quanto minimo non finisce male male. L'eroe svetta e la riaddrizza di nuovo. Ormai sempre più decisivo a toglierci le castagne dal fuoco. E come detto, tutto sommato per come si era messa, va bene anche così. Da un lato è stato un passo indietro rispetto ad una settimana fa, anche se bisogna considerare la netta differenza tra Samp e Roma, da un altro siamo riusciti ad evitare la sconfitta ottendendo il pareggio persino in inferiorità numerica. Di strada certo ce n'è ancora molta da fare e gli esami non sono finiti a Roma, anzi sono appena iniziati. Il prossimo è forse persino più duro.
Speriamo che questa prima interrogazione, ma soprattutto i due schiaffi presi e la paura di perdere, servano a farci crescere anche in vista del seconda.
Nessun commento:
Posta un commento