"Non è forse vero che la vendita del piacere è essa stessa il piacere?" |
Painkiller è la storia della famiglia Sackler e in particolare di Richard, il nipote del fondatore della Purdue Pharma. Così come l'ingombrante parente ha in testa una sola idea: il profitto. Per risollevare la sua azienda troverà infatti un modo piuttosto ingegnoso e perverso: sfruttare il dolore delle persone. Assieme ai suoi dipendenti ideerà quindi l'Oxycontin, un antidolorifico "miracoloso" in grado di estirpare qualsiasi forma di dolore, dal più piccolo al più persistente e invalidante. L'effetto collaterale? Crea dipendenza, parecchia dipendenza. Ecco quindi che, grazie ad abili mosse di marketing, una massiccia campagna di "sensibilizzazione", qualche funzionario corrotto, una massa di dipendenti avvenenti e convincenti, quello che dovrebbe essere un oppioide destinato soltanto ai malati terminali finisce invece per essere venduto a tutti. Fa sparire il dolore, giusto? Quindi funziona. E' questo il senso e il meccanismo alla base del piano di Richard. Se poi quelli che ne fanno uso decidono di diventare dei "drogati" è solo colpa loro (questa è anche una delle strategie difensive col quale si difenderà a processo). Fu così che in quegli anni negli Usa ci fu una sorta di epidemia di persone dipendenti dagli oppioidi, con un bilancio di più di 200.000 vittime e un tasso di criminalità aumentato esponenzialmente nello stesso periodo. Tra coloro che si batteranno per mettere in luce le malefatte dei Sackler ci sará Edie Flowers, che scoprirà però ben presto come mettersi contro la Purdue non sará esattamente una passeggiata.
Painkiller è una serie piuttosto ingegnosa, grazie alla scelta di un cast particolare ma di alto profilo (finalmente rivediamo Matthew Broderick in un ruolo di rilievo che ne esalta la bravura), che si avvale di un montaggio serrato, a tratti sopra le righe, puntellato da un costante accompagnamento musicale che regala alla serie un retrogusto da videoclip. Uno stile che abbiamo già visto nel pioniere La Grande Scommessa e che qui viene riproposto in maniera simile ma non pedissequa. I buoni e i cattivi sono ben evidenziati fin da subito e lo svolgimento è piuttosto enfatico, come accade per molti prodotti dello stesso genere. Ma statistiche, dati, i disclaimer e (soprattutto) le introduzioni ad ogni puntata (dove parlano i veri parenti delle vittime) aiutano a riconnetterci con la cruda realtá della vicenda. Per dirla come uno dei motti della Purdue:"chi vuole fuggire dal dolore cerca il piacere", ma se questo piacere finisce per diventare una condanna a morte non c'è più grossa differenza tra un'azienda farmaceutica ed uno spacciatore, cambia solo il conto in banca.
"Sono stato forse io ad inventare la dipendenza? E' un qualcosa che esiste da sempre e sempre esisterà" |
Painkiller è insomma a tratti un documentario, a tratti un stilosa commedia su un personaggio discutibile, un thriller legale, un serie drammatica sulla discesa nel baratro delle dipendenze (ottima l'interpretazione in questo senso da parte di Taylor Kitsch). In ogni caso resta un prodotto di denuncia, che mira a sensibilizzare piuttosto che a scioccare, pur nel suo stile peculiare.
Voto 8+
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