Un elefante ingombrante che porta un nome e anche una nominata.
Il suo nome(n omen) è Massimiliano e la nominata è il suo gioco. Un marchio indelebile impresso a fuoco, tanto che ormai la Juve diventa la parte più piccola della stanza, fino a che lui diventa squadra, giocatori e dirigenza. Gestisce la comunicazione nei momenti bui, arringa le masse (in positivo e in negativo) e guida i calciatori in campo col pad della Playstation. Non a caso “qualcuno” la chiama Allegrentus. Fantoccio, parafulmine, mostro, bersaglio grosso, capro espiatorio… in una parola, la persona perfetta per l’anno di transizione. Colui a cui dare la colpa quando a febbraio in molti scopriranno che il sogno scudetto è stato solo un inganno mediatico.
La partita di ieri è stata il manifesto dell’antiallegrismo. Il difensivismo più estremo e sfrenato fatto di novanta minuti di barricate e nessuna voglia di ripartire, nemmeno per spezzare un attimo il ritmo e dare un po’ di fiato a difesa e tifosi. Quasi si volesse abituare il tifoso a soffrire così tanto da eliminare in lui definitivamente lo stimolo alla sofferenza. La Juve trasformata in Verona (qualcuno potrebbe chiamarla Veronentus) ma con la sottile differenza della vittoria. Tutto quello che si è elogiato nel Verona, fino alla doccia fredda del gol sul finale, proiettato specularmente sulla Juve. L’eroismo si trasforma in codardia, il gol sul finale si sposta ad inizio partita, ma la vittoria rimane vittoria (o sconfitta, a seconda di quale parte dello specchio si abita) e i calciatori ne escono lindi e pinti come Andy Dufresne dopo l’evasione per le fogne, perché ogni onta sarà riversata su Allegri per osmosi inversa.
Detto questo, solo il vezzo di qualche tifoso isolato potrebbe portare a parlare di altro. Solo un filosofo potrebbe spostare l’attenzione sulla squadra, quelli che di fatto scendono in campo. Solo Platone, in uscita dalla caverna potrebbe focalizzare la sua attenzione sulla scarsa cattiveria agonistica (e precisione spicciola) offerta dai singoli giocatori su certi palloni. Sul più piccolo disimpegno e persino sull’incapacità di saper spazzare un pallone. Il sogno che qualsiasi altro allenatore possa trasformare questa gente in campioni e fenomeni permane nel cuore di ogni tifoso (anche nel mio). Le colpe di Allegri ingigantite e quelle dei calciatori condonate. Il gioco visto contro il Verona vanificato dall’incapacità di segnare prima, e di più, e la vittoria di ieri eclissata dallo scempio della prestazione.
Solo Aristotele potrebbe continuare parlando di tutti gli elementi di questa gara. Del fuoco della tifoseria viola alla vigilia che si trasforma in aria (fritta) al novantesimo, spento da una difesa “impenetrabile”, con Szczesny che fa un’unica grande parata e che nel secondo tempo resta inoperoso sotto l’assedio viola. Una squadra che a conti fatti potrà nascondere i suoi problemi offensivi, evidenziati in queste tre sconfitte consecutive, sotterrandoli sotto l’impronta di questo elefante. Sottoterra come i discorsi ipocriti di chi non ha mai avuto un derby e l’ha sempre desiderato tanto da prendersene uno artificiale, come il feticismo di chi sposa una bambola. Una curva che chiede giustamente rispetto per i morti causati dalla furia degli elementi ma che vilipendia quelli di quasi quarant’anni fa con magliette numerate diventate un merchandising. Una società che sputa nel piatto che la sfama e gli costruisce i suoi centri sportivi, perché in questo circo funziona così. Il popolino si aizza, i fantocci si bruciano e tutto si sposta e si ingigantisce. La narrazione si infaziosisce in ogni direzione e i capri espiatori diventano elefanti espiatori.
Io nell’attesa mi prendo questa vittoria, e il primo gol di Miretti che in altri contesti sarebbe stato storico, mettendola da parte per i giorni bui di classifica.
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