Questo risultato è dunque l’output di tutti questi calcoli. Lineare e meccanico come un programmino scritto in Turbo Pascal. Con buona pace di tutti coloro che han assistito alla partita da spettatori neutrali e si aspettavano i fuochi d’artificio, o quanto meno la classica polemicuccia, evocata dalle solite interviste di rito ai moRatti & co. Ebbene questi ultimi sono stati anche sfortunati, perché quel fallo non viene fischiato su Chiesa e non su Lautaro, e porta al loro pareggio e non al nostro vantaggio, altrimenti (per citare Mike Fusco) oggi non si sarebbe parlato della storica vittoria dell’Italia in Coppa Davis dopo 47 anni. Siamo alle solite, dunque.
Così mentre all’estero si annoiano e cambiano canale da noi questa partita è destinata ad essere dimenticata in fretta, senza la possibilità di un secondo passaggio su giornali o moviole. Due lampi in un cielo sereno e senza nuvole. Un secondo tempo col pilota automatico e nessun tiro in porta. La Juve dimostra di non essere ancora pronta a fare il salto di qualità ma di voler ancora prendere tempo e in fondo, a ben vedere, l’onere di provarci era tutto in mano all’inter, che oltre al suo sterile possesso palla prolungato non è andata. Lo Stadium si sveglia un po’ all’ingresso di Cuadrado, per tributargli i consueti fischi al traditore. Lui oltre a buttarsi al primo tocco non va. Strano, non era stato catechizzato dai santi della curva nord in merito a certe cose? Guida lo grazia anche, sventolandogli solo un giallo per un intervento a piedi uniti. D’altronde stiamo parlando di un arbitro (Guida) che, oltre a quel fallo non fischiato su Chiesa e neppure visto al VAR, è stato molto inglese sui loro interventi fallosi e molto italiano sui nostri.
E la narrazione ancora una volta si dissolve come lacrime nella pioggia.
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