© 6 Ottobre 2014 |
Qualche mese fa i Pendragon annunciavano l'uscita dal gruppo del batterista Scott Higham, per "problemi personali", proprio a pochi mesi di distanza del nuovo album in uscita, album che ha visto la luce qualche settimana fa. Gli ultimi due lavori, che avevano visto la partecipazione di Higham, si erano contraddistinti per un indurimento del sound che aveva sicuramente giovato ad un album come Pure, davvero riuscito e godibile, mentre probabilmente con Passion avevano cercato di replicare la formula risultando meno freschi e efficaci (Passion resta comunque un album discreto, con ottimi momenti, per quanto forse troppo ai confini col prog metal per un gruppo come i Pendragon).
Men who climb the mountains vede l'ingresso in formazione di Craig Blundell, sessionman di buon livello (ha collaborato anche con Mike Rutherford e Bruce Dickinson), che recentemente aveva suonato nei Frost, un interessante supergruppo neo progressive. La scelta quindi di passare da un batterista di estrazione prevalentemente metal ad uno piuttosto eclettico avrà apportato dei cambiamenti nel sound? Ascoltanto il disco possiamo rispondere con un "in parte".
1. L'inizio dell'album (proprio come nel precedente) è affidata a una semi-intro (Belle Ame) che ci conduce verso il pezzo successivo, la praticamente omonima Beautiful soul. Sonorità e riff ci rimandano immediatamente alle atmosfere dell'album precedente, con un tocco melodico più spiccato, per un pezzo gradevole e curato anche se non strepitoso (voto 7+).
2. Come home Jack è introdotta da un ottima introduzione di sola chitarra, molto melodica e ricercata, sulla quale si inserisce il cantato di Nick Barrett, decisamente riuscito ed emozionante. Il brano successivamente ci porta al ritornello, più potente e prettamente rock. Il brano si avvale anche di un paio di ottimi assoli di chitarra, non lunghissimi ma molto azzeccati, per un totale di 11 minuti decisamente godibili (voto 8+).
3. In Bardo è quasi la continuazione del pezzo precedente, ma è quasi tutto strumentale, con degli inserti di chitarra e tastiere davvero splendidi che creano un atmosfera sospesa e sognante. La seconda parte è più sostenuta, con la batteria in primo piano che finisce per riservarci un assolo del bravo Craig Blundell alle pelli (voto 8,5).
4. L'album si mantiene su livelli elevati con la ballata Faces of light, pezzo melodico ma non banale che ci viene introdotto dalla voce di Nick Barrett accompagnato solo dal piano (suonato dallo stesso anzichè da Clive Nolan), poi subentra la chitarra e per un momento sembra che il gruppo torni indietro ai tempi di The world o The masquerade overture. Bello il coro finale (voto 8).
5. Al contrario Faces of darkness ne è quasi l'opposto: intro oscuro e misterioso, molte più tastiere, cantato più secco (con un ritornello quasi in growl, non straordinario, che riporta di nuovo alle atmosfere dell'album precedente). la seconda parte invece si distingue per un ottimo assolo di chitarra elettrica che ci conduce al meglio al finale del brano stesso (voto 7).
6. Sulla stessa falsariga For when the zombies come: intro piuttosto misterioso e particolare (quasi da colonna sonora di film horror), che mantiene una certa irrequietezza per tutto il tempo e sa di non del tutto risolto (voto 7)
7. Già dalle prime note di Explorers of the infinite si ha invece immediatamente la sensazione di trovarci di fronte ad un ottimo brano, anzi al brano migliore dell'album. Inizio ancora una volta affidato alla sola chitarra con la voce di Barrett che ci accoglie con sonorità che rimandano vagamente a quelle di "A man of nomadic traits" (tratta dall'album Not of this world). tutto è molto curato, così come il ponte che ci porta allo splendido ritornello che si stampa immediatamente in testa. Le tastiere in questo caso sono molto più presenti e ricordano come sonorità i pezzi di Pure, soprattutto nel finale. Il crescendo è molto coinvolgente e riesce ad essere melodico e potente al tempo stesso (voto 9)
8. Il pezzo finale così come nell'album precedente è affidato ad un pezzo meno appariscente: Netherworld, che ricorda molto da vicino alcune parti di Comatose (sempre dall'album Pure), forse troppo, sicuramente non disprezzabile anche se forse troppo simile ad altri brani del gruppo. Ottimo come al solito l'assolo finale.
In definitiva ci troviamo di fronte ad un album che sicuramente costituisce un passo in avanti rispetto al precedente, che mette da parte le velleità prog metal per avventurarsi di nuovo verso un approccio più melodico, mantenendo però le sonorità più moderne che avevamo ascoltato negli album recenti. La sostituzione del batterista non si è rivelata una perdita gravissima, Scott Higham sicuramente aveva donato maggiore dinamicità al gruppo rispetto al passato, tuttavia a volte lo aveva condotto verso sonorità che non si addicevano del tutto allo stile chitarristico di Barrett, più "melodico". Blundell ne raccoglie l'eredità senza strafare ma mostrando buona ecletticità. Spiace vedere Nolan relegato un po' nelle retrovie, ma ormai si sa che i Pendragon sono creatura a tutti gli effetti Di Barrett e quindi magari avrà modo di mostrare le sue qualità sugli innumerevoli progetti paralleli (magari un nuovo album degli Arena)
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