venerdì 28 ottobre 2016

NON APRITE QUELLA PORTA - Tobe Hooper (Speciale Halloween - puntata 4)

Se c'è un classicone da rispolverare per una maratona di film dell'orrore è Non aprite quella porta: un film non solo ben girato (nonostante il budget infimo) e angosciante, ma soprattutto iconico. Siamo infatti ancora nel 1974, di film horror ce ne erano già stati, ma per la maggior parte erano ancora molto legati a tematiche prettamente gotiche, quando non erano trasposizioni per il grande schermo di classici della letteratura.

Qui invece si esplora un orrore più "vicino", più "a portata di mano", "da porta accanto" appunto, un sadismo che non ci si aspetta, una violenza che non ha motivazioni (se non nella follia) eppure comunque umana: l'omicidio per il gusto dell'omicidio, siamo insomma (visto anche l'anno di uscita) quasi più dalle parti di Psyco che di Halloween (l'orrore quotidiano e non "apocalittico" come quello di Michael Myers).

Non abbiamo grossi colpi di scena, o uno sviluppo imprevedibile, o chissà quali aspirazioni "politiche" alla Romero, ma una messa in scena tremendamente secca, essenziale, "grezza", senza fronzoli: dei giovani si imbattono in un gruppo di schizzati, si pentiranno di essere passati da quelle parti proprio in quel momento. Stop, non c'è altro.

A sostenere l'impalcatura ci pensa la sua natura di mockumentary (falso documentario) in un epoca nella quale non si giostrava tanto su questa illusione (oggi ne siamo invasi, la maggior parte costituita da prodotti davvero di bassissimo livello) e tutto sembrava più plausibile mancando le fonti per informarsi. Ed ecco che all'epoca, per molti, questo fantomatico Texas Chain Saw Massacre (titolo originale del film, si, "chain" e "saw" scritti staccati) rappresentava qualcosa, di crudamente reale, di credibile. I titoli di testa che ci dicono che il film narra di una storia accaduta realmente non possono allora non dire il vero, non nel 1974, e tutto appare ancora più tremendamente angosciante dopo la visione.


Ma il successo del film si deve anche alla capacità di ideare forse quello che è il primo e vero killer iconico della cinematografia horror, Leatherface (pluricitato in ogni dove, con la sua maschera fatta di volti umani e l'inconfondibile motosega)
Si può dire che Leatherface è in un certo senso il primo vero villain "riconoscibile" dei film horror classici, quelli dal viso mascherato o deturpato (i vari Freddy Krueger, Michael Myers o Jason Voorhees erano ancora di là da venire) ma allo stesso tempo non lo è: è ancora un qualcosa di grezzo (non parla, ma neanche mostra grandi capacità o qualità da assassino), di non messo a fuoco e (soprattutto) non è il male incarnato, o il solo e unico killer del film. Non ha tratti semi-soprannaturali, no, Leatherface non è che uno dei tanti prodotti della follia umana, del marcio che si nascondeva e si nasconde in certa provincia americana, probabilmente è semplicemente un ritardato plagiato dai familiari. E' questo in buona sostanza ciò che differenzia i film successivi da "Non aprite quella porta", lì ci si spingeva già decisamente verso un orrore meno terreno, qui invece siamo dalle parti dell'umano, del grottesco, del agghiacciante, ma comunque umano e questo a tratti fa ancora più paura.

Il film ebbe così tanto successo che creò un vero e proprio sottogenere horror (quello delle famiglie folli e sadiche), non solo, diede il là in Italia a una delle mode più stupide della cinematografia nostrana, l'appioppare titoli vagamente simili a film di gran successo ad altri che non c'entravano un beneamato: ecco allora il fiorire dei vari "Non aprite quel cancello", "Non aprite quell'armadio", "Non aprite quel bagno" (no, forse questo non lo hanno fatto)...

Non aprite quella porta oltre ad essere un grande successo fu uno dei film più controversi alla sua uscita, tanto da essere censurato o vietato ai minori di 18 anni un po' ovunque. Certo, oggi a vedere i vari Martyrs, Hostel, può far ridere come cosa, ma anche adesso, nel 2016, mantiene una potenza se non visiva quantomento psicologica: laddove oggi si parla di film dell'orrore "letteralmente" (film che non spaventano ma fanno proprio schifo, suscitano repulsione), qui invece anche le scene più splatter sono girate in modo che a lasciare atterriti non sia la scena in se ma il contesto, l'ambientazione, la lucida follia nel fare determinate cose e non il modo effettivo di farle.

A ben vedere il film effettivamente mostra tutti i suoi limiti, sia recitativi che stilistici, ma questa "rozzezza" è sempre sostenuta da lampi di regia estemporanei, dalla potenza visiva, dalla capacità di mantenere lo spettatore in tensione. Se insomma in seguito Carpenter e affini riusciranno a dare maggiore sottotesto e iconicità a certe figure terrorizzanti, qui però siamo già a un qualcosa di compiuto, non perfetto magari ma compiuto e affascinante. In un certo senso tutto nasce da qui.

Dolcetto o schezetto? Dolcetto pregiato

Voto 8

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