giovedì 20 aprile 2017

Retrospettiva Marillion - parte 1 (1983-87)

A distanza di qualche mese dall'uscita dell'ultimo album una retrospettiva dedicata al gruppo neo progressive britannico

Script for a Jester's tear (1983) ****1/2
Il punk aveva ormai spazzato via quasi del tutto le velleità progressive ed era stato spazzato via a sua volta dalla new wave. I Marillion, insieme ad un manipolo di band guidate dallo stesso spirito, cercano di far rivivere il mito del prog rock, aggiornandolo e contaminandolo con il sound "anni 80'" seguendo la linea tracciata dai Genesis con Duke.
Grazie anche alla voce del frontman (uno spilungone scozzese che si fa chiamare Fish) molto simile a quella di Peter Gabriel, i Marillion esordiscono con un disco che ha tantissimi punti di contatto con i Genesis tanto che in molti si affrettano a definirli niente più che un "gruppo clone".

Se è verissimo che l'esordio ha davvero tanti punti di contatto col gruppo di Gabriel (ascoltare Forgotten Sons per credere, una specie di The Knife degli anni '80), in realtà il disco ha anche altri sapori e non disdegna una certa ruvidezza del suono rispetto ai progenitori. "He knows tou know" è un po' il manifesto di questi primi Marillion: veloce e rock ma allo stesso tempo piena di tastieroni e cambi di tempo, anche "Chelsea Monday" col suo lungo assolo centrale di chitarra è una delle cose migliori dell'album. Il pezzo più significativo però sarà "Script for A Jester's Tear": una semi-suite romantica piena di "genesisismi" ma anche di pathos.

Canzoni migliori: Script for A Jester's Tear, He Knows You Know, Chelsea Monday, Forgotten Sons 
Canzoni peggiori: The Web

Fugazi (1984) ***1/2
Sonorità simili al disco precedente ma che, sia nelle liriche che nel sound, risulta meno "romantico" e più oscuro, con testi che vanno dall'ironico (Punch & Judy) a invettive non troppo velate ad "ex amici" (Assassing), fino al pessimistico scenario della title track, una lunga suite dove Fish risplende sia nei testi ("Where are the prophets, where are the visionaries, where are the poets To breach the dawn of the sentimental mercenary") sia nel cantato. Ha modo di mettersi particolarmente in mostra il chitarrista Steve Rothery, col suo stile a metà tra Steve Hackett e David Gilmour (con una spruzzata di Andy Latimer), che sarà presente in tutti i dischi del gruppo e gli permetterà di mantenere, anche nei tanti cambi di generi, il tratto distintivo. Il pezzo migliore dell'album è probabilmente la lunga e onirica "Incubus" nella quale Fish mostra ancora una volta la sua poetica "urbana" e graffiante.

Canzoni migliori: Incubus, Fugazi
Canzoni peggiori: Emerald Lies


Misplaced Childhood (1985) *****
Il gruppo si sente ormai maturo per un concept album, alla maniera dei grandi gruppi progressive anni '70. In realtà Misplaced Childhood è meno pretenzioso e complesso di quanto possa sembrare: pezzi quasi tutti brevi, poca sperimentazione, molta gradevolezza e compattezza. I pezzi sono tutti collegati tra loro sia musicalmente che da una "trama" che ha a che fare con la riscoperta dell'infanzia e i suoi punti oscuri. Fish ancora una volta ha modo di risplendere e gli altri gli vanno dietro con un tappeto sonoro memorabile: dalle tastiere misteriose dell'iniziale "Pseudo Silk Kimono", al gran lavoro di chitarra di Rothery nella lunga e ammaliante "Blind Curve", alle percussioni insistenti di Waterhole (Expresso Bongo). I pezzi più riusciti probabilmente però finiranno per essere due ballate, la nostalgica e imprescindibile "Kayleigh" (uno dei pezzi più famosi in assoluto del gruppo) e la delicata "Lavender".
Tutto perfetto insomma, o quasi, forse i due pezzi finali non sono esattamente all'altezza di quello che viene prima, ma sono dettagli.

Canzoni migliori:  Kayleigh, Lavender, Bitter Suite, Blind Curve
Canzoni peggiori: White Feather

Clutching at straws (1987) ****
Proprio nel momento di maggior successo, commerciale e di critica, qualcosa si rompe: Fish ormai è quasi "un pesce fuor d'acqua", ha una visione diversa da quella del gruppo e gli altri cominciano a non vederlo di buon occhio. A questo si aggiungono i suoi problemi di dipendenza dall'alcol che finiscono per influenzare la composizione del nuovo album. Clutching At Straws appunto è un nuovo concept, stavolta più oscuro e ancora più personale che racconta gli eccessi di una star e le ripercussioni del diventare famosi. Proprio come era accaduto con The Lamb per i Genesis è un lavoro imperfetto ma affascinante, con il leader che sembra già a tratti lontano dal resto del gruppo e si permette il lusso di prendersi delle libertà (per la prima volta si avvale dell'ausilio di una voce femminile). Anche le composizioni suonano diverse rispetto al passato, il prog rock è relegato nelle retrovie per lasciare spazio ad un pop-rock venato dalle new wave, comunque di ottimo livello.

Tra le migliori cose spiccano l'aggressiva "White Russian" (dal testo crudo ed efficace), la dolce ballata "Sugar Mice", l'iniziale "Hotel Hobbies" e "Warm Wet Circles" dove Fish riesce a risplendere con un'interpretazione magnifica.
Con l'uscita del disco Fish abbandona decretando la fine di un'epoca del gruppo e nulla da quel momento sarà più lo stesso.

Canzoni migliori: Sugar Mice, Warm Wet Circles, White russian
Canzoni peggiori: Incommunicado

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