Non è un mistero il nostro amore per il cinema di John Carpenter. Spesso incompreso, perfino boicottato, è stato invece capace di sfornare film non solo entrati ormai nell'immaginario collettivo ma che, pur se diretti alle masse, hanno spesso precorso i tempi e lanciato messaggi "politici" forti, magari mascherati in mezzo a partiture orrorifiche o angoscianti, apparentemente lontane dalla nostra realtà.
Il male nei suoi film è qualcosa di ancestrale, di antico, non appartiene agli uomini ma è qualcosa di più profondo, talmente profondo che invade la società e corrompe tutto quello che tocca. Saranno allora gli ultimi, gli emarginati, quelli messi da parte dalle istituzioni o dalla società che, spesso loro malgrado, si opporranno allo sfacelo e alla distruzione della stessa, facendosi eroi quando le stimmate da eroi non hanno. Personaggi che più cult non si può insomma. Il nostro speciale in due parti è dedicato a 6 film fondamentali per capire la sua visione del cinema e del mondo.
1. Distretto 13 - Le brigate della morte (1976)
Per certi versi è ancora acerbo ma contiene già perfettamente tutte le caratteristiche del "film alla Carpenter": la tematica (principale) dell'assedio, i cattivi disumanizzati e senza alcuna morale o fine ultimo (guardare la crudissima scena cult "del gelataio") contrapposti a dei "buoni" che appartengono a delle minoranze (il poliziotto di colore) o sono scarti della società (i detenuti, tra tutti il famigerato Napoleone Wilson). Saranno questi "ultimi" loro malgrado (come in quasi tutti i film del nostro) a dover unire inaspettatamente le forze (che tu sia criminale o poliziotto sei comunque una persona, per quanto tu possa aver sbagliato nella vita resti pur sempre un essere umano) per combattere una minaccia spietata e irrazionale. Più western che horror insomma, ma un western "capovolto": diverso da quelli alla John Wayne (per quanto vicinissimo come struttura e citazionismo): non è l'istituzione a dover salvare il mondo, è stata già corrotta o si è data per dispersa, è un compito che spetta ormai solo alla "spazzatura della società".
2) Halloween - la notte delle streghe (1978)
In teoria un semplicissimo film di genere eppure... Halloween è per certi versi IL film di genere, lo slasher. Non lo ha inventato ma lo ha portato alle masse, facendo nascere, negli anni e fino ai giorni nostri, una miriade di emuli più o meno riusciti che lo hanno citato, saccheggiato, rivisitato, distrutto...
Al di là della semplice "codifica" di alcune regole fondamentali (la "final girl", la legge del "non fare sesso se non vuoi morire"), che poi negli anni si sono trasformate in scimmiottamenti e fraintendimenti, la tematica è meno banale di quella che possa sembrare. La protagonista, a causa della sua apparente timidezza e del suo non essere disinibita come gli amici, si appresta a passare un Halloween piuttosto canonico e noioso. Non è la ragazza "da festa", quella introdotta nella società, una società cieca e dedita solo all'apparenza. La sua diversità rispetto a questi ultimi finirà per salvarla. Su tutti si staglia naturalmente la figura di Mike Myers, all'apparenza il solito assassino seriale che agisce per vendetta o gelosia e invece... Invece in quel colpo di scena finale è racchiusa ancora una volta la poetica di Carpenter e la sua visione disumanizzata del male, quello vero, non quello che ci dice di temere la società.
3) 1997: Fuga da New York.
Un futuro distopico (simbolico quel 1997, l'anno nel titolo, a richiamare 1984 di Orwell), un antieroe, una lotta contro il tempo. I classici temi da film alla Carpenter eppure qui ci si spinge ancora più in là col messaggio e la visionarietà. I reietti sono stati murati in una città prigione, impossibilitati ad uscire, senza distinzione apparente tra piccoli, grandi delinquenti e folli totali (quando invece spesso la delinquenza si annida nei centri del potere, quelli che stanno fuori dalle barricate). Le mura che ci separano dal pericolo del diverso, dalla delinquenza, una tematica quanto mai attuale. Ma quando la stabilità sociale e lo status quo del mondo esterno a New York saranno messi in pericolo dal rapimento del Presidente ("Quale presidente?") a chi puoi rivolgerti? Chi sarà disposto a sporcarsi le mani? Un altro di questi "esclusi" naturalmente, un uomo senza regole, un ribelle, un antieroe., uno costretto a salvare il presidente e gli Stati Uniti (dipinto come un pagliaccio fifone e intrallazzatore) non perchè vuole ma perchè deve, ci è costretto. Se ne frega degli accordi internazionali più o meno leciti, Snake (qui da noi inspiegabilmente Jena) è un anarchico, uno che non vuole avere nulla a che fare con quel tipo di società, che non è più parte di quel mondo. In un ribaltamento della tematica dell'assedio (il "salvatore" qui è l'assaltatore) riuscirà nel compito. Il colpo di scena finale dopo il "salvataggio" però è l'ennesimo coup de theatre di Carpenter: il reset, la distruzione dello status quo, l'uomo che si riappropria delle sue radici attraverso l'azzeramento della distopia. Per dirla (più esplicitamente) come nel sequel: "Benvenuti nel regno della razza umana".
Tra qualche giorno ci occuperemo di altri 3 film, che ci faranno entrare nela visione registica di John Carpenter sotto un profilo ancora più estremizzato, sia visivo che concettuale.
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