E' sicuramente vero (come dicono in tanti) che col tempo Black Mirror ha perso la sua carica innovativa, destabilizzante, sarcastica. Dalla serie di nicchia dei primissimi episodi, nel corso delle stagioni è diventato un prodotto sempre più pop, patinato, per tutti. Non è un caso d'altronde che la svolta definitiva verso questa sua nuova incarnazione sia coincisa con l'acquisizione da parte di Netflix. Tuttavia, nonostante ci si fosse lasciati con una quinta stagione piuttosto discutibile e l'esperimento Bandersnatch fosse riuscito più concettualmente che a livello emozionale, una nuova stagione di Black Mirror resta comunque un evento. Nessun altra serie in questi anni è riuscita ad indagare nel profondo il nostro rapporto malsano con le nuove tecnologie, la deriva sempre più folle e deumanizzante alla base di ciò che diventa poi una distopia. Una serie di fantascienza che dipinge non futuri lontanissimi ma molto prossimi, alla portata, credibillissimi e per questo ancora più in inquietanti. Un futuro che insomma fa rima con il presente e che (caso inedito per la serie) in questa sesta stagione lambisce perfino il passato, diventando qualcos'altro.
Nel corso di questi giorni dedicheremo una recensione ad ogni puntata della serie creata da Charlie Brooker.
Il primo episodio mette subito le cose in chiaro. Black Mirror è roba di Netflix, è una sua diretta emanazione e non manca di farcelo sapere, anche con la giusta dose di ironia e sarcasmo ma certo con meno cattiveria rispetto al passato. La puntata ha per oggetto proprio un servizio di streaming molto molto particolare: Streamberry rimanda più che esplicitamente a Netflix (il gingle, i colori, il logo) ma non viene mai citato col suo vero nome, forse perchè, come scopriremo poi, si tratta di un contenitore di film e serie tv piuttosto discutibili (chiamarlo direttamente Netflix insomma sarebbe stata una pessima pubblicità).
Grazie all'ausilio dell'intelligenza artificiale di un computer quantistico Streamberry infatti è capace di sfornare episodi "sul momento", delle instant series, basate su fatti e su persone reali, che in modo indiretto hanno dato il proprio consenso. Nella serie queste persone verranno interpretare da attori famosi, ma che in realtá non recitano nemmeno per davvero, hanno semplicemente acconsentito all'utilizzo dei propri volti. Ci troviamo insomma di fronte ad un'evoluzione del Truman Show e del futuro preconizzato da Philip Dick in Tempo Fuori di Sesto. Qui non c'è più bisogno di troupe di attori, figuranti, maestranze che lavorano al servizio di un personaggio che si ritrova inconsapevolmente all'interno di un programma televisivo. Qui la realtá è giá il programma televisivo e il programma televisivo è la realtá. La donna protagonista della puntata scopre di essere insomma oggetto di una serie televisiva che riprende per filo e per segno ogni sua frase o azione, leggermente enfatizzate, certo, ma per il 90% ogni sequenza è l'esatta riproposizione di quanto le è accaduto fino a pochi istanti prima. La sua vita è messa sotto la lente d'ingrandimento da milioni di persone e i suoi conoscenti ben presto conosceranno tutti i suoi segreti più reconditi.
Come fermare questa follia? Forse comportandosi da folli?
Joan è terribile è un gioco di specchi, a tratti intelligente, a tratti un po' facilone e troppo compiaciuto. E' una puntata di un telefilm che ha per oggetto la puntata di un telefilm che si scopre poi basata su eventi reali che forse però sono essi stessi parte di un qualcosa di "costruito" ed irreale.
Una parodia evidente delle attuali intelligenze artificiali in grado di produrre disegni, opere dell'ingegno umano e pure serie TV appunto. L'ironia sovrasta la cattiveria e gli attori paiono divertirsi molto (soprattutto una Salma Hayek decisamente sopra le righe). Più che dalle parti di un romanzo di Philip Dick insomma siamo più vicini ad Essi Vivono (il cui finale,
ugualmente un po' affrettato, sembra essere in parte ripreso)
Voto 7+
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