venerdì 12 ottobre 2012

Marillion - SOUNDS THAT CAN'T BE MADE

© 17 Settembre 2012
Quando esce un nuovo album dei Marillion per i fan in un certo senso è sempre un evento, perchè dopo aver ascoltato i capolavori con Fish, dopo album come Brave e Marbles o anche lo stesso Afraid of sunlight, ci si aspetta sempre che regalino al proprio pubblico nuovi capolavori.
Non sempre è accaduto che Hogarth e soci componessero grandi album, anzi di solito a grandi dischi si sono succeduti altri che non andavano oltre la sufficienza, che contenevano 2 o 3 perle ma poi il resto dei brani non era allo stesso livello.

Cosa aspettarsi dunque da Sounds that can't be made, uscito in queste settimane a distanza di 4 anni dal precedente (e discreto) Happiness is the road? Di certo, quanto meno, ci si aspetta che non abbiano fatto di nuovo un passo indietro e siano tornati ai livelli di Somewhere else (2007).

L'album si divide idealmente in 3 parti: 3 lunghe "suites" poste all'inizio, al centro e alla fine, 3 brani di stampo pop (purtroppo) e due "vie di mezzo".

Nella prima categoria rientra la lunga Gaza (#1, 17 minuti, tanti quanti gli album pubblicati dal gruppo), forse il brano più "particolare" del disco: accenni heavy e parti più rilassate, bei cori e ottimi crescendo, con una parte finale davvero bella e con un Rothery finalmente di nuovo in primo piano con la sua chitarra. Sicuramente è il brano più difficilmente metabolizzabile, non tanto per la lunghezza, quanto per il contenuto, ma è sicuramente un ottimo inizio (8,5)

Anche Montreal (#5) con i suoi 14 minuti presenta molte variazioni al suo all'interno: un inizio magnifico, con un Hogarth davvero efficace e un intreccio di tastiere e chitarre a tratti commovente, poi un crescendo che porta a un ottimo finale. Forse delle tre suites è la più riuscita e quella dove Hogarth (ma anche Rothery e Kelly) riesce a dare il meglio di se. Siamo dalle parti di This strange engine (l'album) in un brano che riporta i Marillion a quelli di una volta, anche se il tempo passa. (9)

L'ultima delle tre suites (e pezzo finale dell'album) è The sky above the rain (#8), che a differenza delle altre due mantiene lo stesso registro per quasi tutta la sua durata (10 minuti). molto ariosa, con un ottimo lavoro di tastiere e di chitarre che creano un'atmosfera sognante. Si sentono echi di Marbles (Neverland) ma anche di Happiness is the road. Anche qui una bella prestazione vocale di H. (8,5)

Tra le "vie di mezzo" spicca la title track (#2), che ad un inizio piuttosto pop e di maniera fa seguire un'ottimo crescendo che conduce ad un finale molto riuscito, dove Rothery riesce a dare al tutto una marcia in più con un bell'assolo che segue un altro assolo (abbastanza retrò) di Kelly. Molto molto piacevole. (8)

Anche Power (#4) appartiene a quei brani non del tutto prog ma con ottime cose da offrire: in questo caso anche il basso di Trewavas è memorabile e il pezzo è ottimamente costruito, radiofonico (non a caso circolava per il web già qualche tempo prima dell'uscita dell'album) e piacevole. Bello il "ritornello". (7,5)

Accanto a questi brani abbiamo poi altri 3 di impostazione pop, che non fanno gridare al miracolo.
Pour my love (#3) è un lento con qualche influenza soul e una buona interpretazione vocale, ma sembra quasi un brano dell'Hogarth solista. Piacevole e poco più (6+)

Invisible ink (#6) è più "accattivante" e costruita abbastanza bene, peccato per la prova vocale di Hogarth sottotono. (6,5)

Lucky man (#7) è invece la meno riuscita del lotto (e dell'album): sembra uscita di sana pianta dai peggiori album del gruppo, ricorda a tratti Three minute boy (che però era migliore) da Radiation. (5)

Insomma le notizie positive sono un maggiore peso di Steve Rothery all'interno dei brani e un riavvicinamento a certe atmosfere progressive, quelle negative sono lo scarso coraggio che porta l'album spesso ad appiattirsi su atmosfere troppo rilassate e il fatto di non aver nessun brano davvero capace di elevarsi a status di capolavoro assoluto.

In conclusione questo Sounds that can't be made è un bel lavoro, lontano dai fasti di Marbles e soprattutto Brave, ma con ottimi spunti che lo fanno spiccare nettamente dalla mediocrità (Somewhere else, Radiation...) e lo mettono tra Happiness is the road (un po' meglio) e Afraid of sunlight (un po' peggio).

Non saranno "suoni che non possono essere fatti" ma sono pur sempre piacevoli

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