martedì 5 febbraio 2019

Steve Hackett - At The Edge of Light

Ci sono artisti che passata la sessantina si ritirano a vita privata, campando di rendita, ed altri (molti molti meno) che sembrano invecchiare come il vino buono. Magari l'originalità è ormai da tempo perduta, così come la giovinezza, ma lo spirito resta lo stesso. Hackett appartiene proprio a questa categoria: più passano gli anni e più prolifico sembra diventare. Se quindi tra Genesis Revisited 2 e Wolflight erano passati quasi 3 anni e tra quest'ultimo e The Night Siren giusto 2, il nuovo At The Edge Of Light è uscito appena 22 mesi dopo. Obblighi contrattuali si dirà, ma un artista come Hackett in realtà non ha più nulla da dimostrare e quindi può liberamente permettersi di fare quello che gli pare, anche perchè ormai da anni mantiene il suo seguito molto più grazie ai live che agli album da studio. Quest'ultimo lavoro infatti si inserisce nel solco dei precedenti, Steve sta ormai seguendo un percorso ben definito che mescola sapientemente la world music col prog e con spruzzate di blues/metal. Tutto questo si sposa con tematiche sociali quanto mai attuali e (paradossalmente per questi tempi bui) "controcorrente": la necessità di riscoprire il nostro lato più umano, di sentirci tutti uguali nella nostra diversità, di ricominciare a vedere la bellezza nel diverso come motivo di arricchimento culturale. Ne esce fuori un album non originalissimo, come prevedibile, ma ispirato, meno compatto del precedente ma con più picchi in positivo.

L'iniziale Fallen Walls And Pedestals non è che una intro strumentale che ci cala subito all'interno di quella che sarà l'atmosfera dell'album: sonorità oscure che vengono squarciate da sprazzi di luce e "positività". Ma per ora il mood "ombroso" viene mantenuto anche dal primo vero pezzo dell'album: Beast In Our Time. Il titolo è un una storpiatura della famosa frase del primo ministro Chamberlain (l'originale sarebbe Peace for our time) giusto un anno prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. A distanza di 80 anni tante cose sembrano tornare di nuovo pericolosamente di moda. Il pezzo fa fede al titolo: la voce di Steve è pacata eppure la musica sottostante la priva di qualsiasi sprazzo di positività. Ci troviamo di fronte a una specie di ballata dark che però si giova di variazioni sul tema di gran valore (tipo il bellissimo assolo di sax). Ad un certo punto il pezzo si fa più dinamico e probabilmente più canonico, con Steve che ci offre una variazione sul tema di The Air Conditioned Nightmare. Un pezzo forse non tra i migliori in assoluto dell'album ma probabilmente quello, per mood e tematiche, più emblematico (voto 8).



Under The Eye of The Sun invece sta esattamente agli antipodi, non solo nel titolo ma anche nelle sonorità: molto ariose, con ampio utilizzo di cori yessiani a dipingere scenari molto più "solari" appunto. Pezzo molto molto piacevole, che rimanda anche a certe cose contenute in Squakett, che tradisce un animo pop dietro a "svisate prog" e ad una durata che va al di là dei 7 minuti.. Forse il suo difetto maggiore è proprio questo, ricorda troppo altre cose e non ha una sua vera identità anche se vi ritroverete comunque a canticchiarla (voto 7,5). Con Underground Railroad (forse il pezzo migliore dell'album) si cambia di nuovo umore: se il testo è ispirato dalla fuga degli schiavi prima della guerra civile americana, a livello sonoro (almeno nei primi minuti) ci troviamo di fronte ad un brano sorprendentemente country/gospel, con tanto di cori femminili (Durga e Lorelei McBroom, che in passato avevano lavorato, tra gli altri, con i Pink Floyd). Dopo un po' il pezzo all'improvviso si indurisce e "velocizza" quando la batteria e un giro irresistibile di basso conducono il brano su lidi più prettamente prog-metal (con tastiere in background). Un bellissimo assolo di Steve contrappuntato dal coro porta poi il pezzo su scenari più "positivi" fino alla sua conclusione. Indubbiamente il brano più vario e sorprendente del disco (voto 10).

Those Golden Wings rincara la dose: brano che vorrebbe essere anch'esso molto vario e che non fa notare affatto i suoi 11 minuti e più di durata. Certo qualche orchestrazione di troppo finisce per appesantire a tratti il tutto ma la presenza di bozzetti acustici qua e là (stranamente quasi assenti nell'album, in controtendenza col recente passato) riesce a rimodulare il tutto. Da segnalare, oltre al bel "ritornello", un ottimo riff che tornerà nel corso della suite, suonato con strumenti diversi e un bell'assolo di chitarra finale di circa 3 minuti. Forse è un pezzo non perfetto ma contiene al suo interno tutte quelle cose che rendono la musica di Steve così affascinante e distinguibile (voto 9,5).

Se la seguente Shadow And Flame è l'unica vera concessione totalmente "etnica" con tanto di sitar (voto 7), Hungry Years è (a dispetto del titolo) il pezzo più pop e "leggero del disco". Nonostante queste caratteristiche però è piacevolissimo, grazie ad un riff azzeccato e (soprattutto) ad un assolo finale di chitarra tipicamente rock, che fa un po' il verso a Cassandra ma risulta di grande effetto (voto 8).
La parte finale del lavoro è affidata a 3 "movimenti" di una ipotetica suite: Descent/Conflict/Peace. La "discesa" è in realtà un crescendo crimsoniano molto oscuro e un po' ripetitivo (voto 6,5) mentre Conflict un bozzetto rock dove Steve fa sfoggio della sua bravura chitarristica (voto 7), la conclusiva Peace è sicuramente tra le cose migliori di questo ultimo lavoro. Inizio con solo piano e voce, poi il tutto si trasforma in una ballata apparentemente semplice ma con sprazzi di malinconica genialità tipiche del chitarrista. Anche il ritornello è indovinato e si stampa subito in testa così come le parti chitarristiche, un vero e proprio inno, alla maniera di Afterglow (ultimo pezzo genesisiano al quale ha partecipato), necessario e attuale (voto 10).

At The Edge Of Light conferma insomma la capacità di Steve di muoversi ormai a proprio agio su determinate sonorità, riconoscibilissime, consegnandoci un prodotto forse meno omogeneo del precedente ma più vario, per quanto possibile. Un monito ma anche un canto di speranza.

Voto 8+

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