martedì 12 maggio 2009

STATE OF PLAY- Kevin Macdonald

Non c’è nulla di più attuale di questo film. Nel periodo in cui ritorna sui giornali italiani la ciclica quanto stanca polemica (poiché si capisce che mai si risolverà) sul conflitto di interesse dell’impero dei potenti, che tira in ballo il giornalismo e la politica, le amicizie tra i due poteri e la subalternità dei giornali rispetto ai partiti, che determinano chi ha ragione e chi ha torto in vicende personali o meno. 

Il potere si manifesta attraverso la mistificazione della realtà che si attua per due vie, acclamazione popolare e/o veicolazione giornalistica (il quarto potere). Il film gira appunto attorno questo cardine, l’amicizia di un politico e un giornalista e il modo in cui questa relazione potrebbe influenzare un’inchiesta che lo riguarda. Partita da un affare di gossip, l’inchiesta assume i connotati di una cospirazione nazionale, in cui il giornalista vecchia scuola Crowe dovrà andare avanti anche a rischio di compromettere la propria amicizia o la sua stessa vita privata. 

State of Play rappresenta anche la lotta generazionale tra il giornalismo classico fatto con penna e taccuino e quello nell’era dei blog, con una visione romantica che predilige la selce al silicio (per dirla alla maniera di un libro di Giovanni Giovannini) come un po' tutti quei romantici di vecchi stili che spesso, volutamente o involontariamente, non fanno distinzione tra i contenuti e il supporto. Tuttavia nel suo concetto fondamentale questo film ci dice che il vero giornalismo è quello fatto in strada, a seguire la notizia e la sua naturale evoluzione senza mai fermarsi alla prima manifestazione della stessa, ma indagando alla radice della verità senza lasciarsi sviare dalle sue versioni.

La coppia Crowe-Affleck, chiamata a sostituire la rinunciataria Brad Pitt e Edward Norton, entra subito nella parte. Crowe si atteggia a scozzese (nazionalità del regista) bevendo vino scozzese (Whiskey), rozzo ed essenziale, giornalista sempre dentro la notizia con occhio critico e analitico che viaggia a bordo della sua vecchia Saab e non ci pensa proprio a sostituirla nel suo “gayrage”. Mentre Ben Affleck affonda nel suo doppio petto da politico moderno con l’ambiguità del ruolo, sempre attento all’immagine ma con le spalle a spingere le porte di un armadio pieno di scheletri che spingono per uscire. Due amici la cui vita ha preso strade opposte. Il risultato è un film bello e in continua evoluzione.

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