sabato 26 agosto 2017

Death Note - Adam Wingard

Cosa fareste se per puro caso riceveste un quaderno "magico" col potere di uccidere chiunque, solo scrivendoci il suo nome sopra? Molti forse ci scriverebbero i nomi degli autori di questa trasposizione americana, firmata Netflix e uscita il 25 agosto scorso, del Manga/Anime giapponese divenuto ormai un cult. Nemmeno il tempo di caricarlo sullo streaming della piattaforma, infatti, che già in rete sono iniziate a fioccare le prime recensioni negative. Un flop annunciato? In fondo in fondo era quasi inevitabile che andasse così. Diciamoci la verità, le aspettative erano così tante su questo film che per realizzarle il regista avrebbe dovuto partorire un capolavoro



Trarre un film da Death Note non era facile, perché chiunque sarebbe partito già in svantaggio anche se si fosse attenuto fedelmente alla trama. Dato che ridurre una storia lunga e sfaccettata come DN a soli 100 minuti porta inevitabilmente ad un pesante intervento sulla trama, anche solo per limitarla all'osso senza personalizzarla, lo svantaggio aumenta. Il sentiero sul quale ci si sarebbe incamminati era già dissestato.

Mi sono quindi imposto di guardare DN senza paragonarlo all'Anime, che vidi qualche anno fa, perché il confronto so che non avrebbe retto. Come con La Torre Nera, già sapevo, prima di vederlo, che un film di questa durata non sarebbe bastato per un progetto del genere. Un progetto che si sposa solo con la dimensione ideale della Serie TV. Ma se con La Torre Nera quanto meno avevamo attori decenti qui il punto debole è proprio il protagonista principale, sia dal punto di vista della parte che gli riserva la sceneggiatura sia dal punto di vista recitativo dell'attore stesso.

Naturalmente la trama accenna solamente all'interrogativo etico e morale che il Manga/Anime si poneva su un tale potere messo in mano ad un essere umano adolescente, anche se dalla mente geniale, per non parlare della completa assenza di tutta la battaglia intellettuale e intellettiva tra i due protagonisti Kira e L. Il famoso ed estenuante gioco di scacchi e inseguimento mentale si riduce di fatto ad un inseguimento fisico in stile americano per le vie della città. Non solo Light Yagami diviene Light Turner, ma nella sua occidentalizzazione viene privato di tutto quel carisma che possedeva l'originale e che portava molti a simpatizzare per lui, anche se di fatto era un "villain". Più che senza carisma, inutile, totalmente in balia della sua ragazza (Mia) vera posseditrice del Note. Appena Kira si gira... ops... "ho scritto un paio di nomi sul registro, scusami, ma l'ho fatto per te".

ho scritto un paio di nomi sul registro, scusami, ma l'ho fatto per te
Per quanto riguarda le parti, preventivamente qualcuno aveva posto i suoi dubbi su questo L nero, non so quanto scavando nel suo razzismo latente o nel suo integralismo circa le fattezze originali del protagonista. Scherzi a parte Lakeith Stanfield a differenza di Nat Wolff sembra quanto meno essersi studiato il personaggio, riproponendo più o meno fedelmente le sue caratteristiche espressive. Wolff invece è talmente inespressivo che quando prova a tirar fuori qualcosa dalla sua faccia fallisce miseramente tanto da divenire involontariamente comico. Stanislavskij fatti da parte. A quanto pare il doppiaggio in italiano gli dà persino una mano perché pare che in lingua originale non si possa proprio "sentire".

and the oscar goes to...

La partenza non prometteva nemmeno male, se escludiamo la faccia da ebete che fa Light quando vede lo Shinigami per la prima volta (cosa che ti rimane subito impressa per il suo trash-ume) ma la mancanza di tempo porta a trasformare il film in una sorta di Final Destination dei poveri. Tutto diventa un escamotage per far presto, diluendo qua e la momenti fondamentali come un caffè americano. Insomma non si trattava di potenzialità, quanto di prendere un successo e riuscire a mungerlo. Come americanata questo DN riesce a fare peggio di Ghost In The Shell che banalizzava il suo anime. Qui oltre a banalizzarlo lo si snatura e lo si pasticcia in una soluzione che i fan odiano e detestano ma che non offre granché neppure a quelli che non han visto il cartone.

Ho dunque provato a difendere questo film come un avvocato d'ufficio che rappresenta un reo confesso, ma non ho potuto fare più di tanto. Ho dovuto rimettermi alla clemenza della corte.

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