"What if" è un modo di dire inglese tipico della fantascienza, anzi ne è un vero e proprio sottogenere: "cosa sarebbe successo se...". Tutti noi almeno una volta in merito ad un evento ci siamo posti questa fatidica domanda. Il famoso "effetto farfalla" insomma. Va da se che se applicato ad importanti eventi storici questa domanda fa sorgere diverse questioni morali difficili da risolvere. E se avessero vinto i nazisti la guerra? A questo questito provava a rispondere il romanzo omonimo di P.K. Dick e tentava di rispondere anche la prima stagione di questa serie tv. Alcune cose non cambiano mai, altre cambiano radicalmente, l'unica costante sembra essere la natura umana: fino a dove siamo disposti a spingerci per quello che crediamo giusto? Cosa saremo disposti a fare per la sicurezza dei nostri cari? Siamo insomma immersi in un mondo distopico come molti altri dipinti dalla fantascienza (Il Mondo Nuovo, 1984) ma in questo caso tutto è molto più familiare, plausibile, vicino, per certi versi alcune cose sono totalmente identiche. Tutto questo quindi ci porterà a mettere in discussione anche alcune certezze del mondo stesso nel quale viviamo.
La prima stagione di Tha Man in The High Castle si proponeva di immergerci in un contesto, ci faceva conoscere i suoi protagonisti e la loro situazione. Si potrebbe parlare di stagione "introduttiva" o "preparatoria". Non c'era molto spazio per una trama coerente e sfaccettata ma solo per delle situazioni che coinvolgevano i vari personaggi immersi in questo passato "distorto". Il ritmo era necessariamente lento, a tratti fin troppo, ed era necessaria una maggiore accellerazione, accelerazione che prova a dare questa seconda stagione: i personaggi dopo aver messo in dubbio le proprie certezze (sul passato, sulla situazione politica e sugli interessi in campo) cominciano ad agire, ad attivarsi, a lottare in prima persona (non finiscono solo per incontrarsi e scontrarsi ma per svolgere azioni che a modo loro avranno tutte un impatto fondamentale per le sorti del mondo). Sono tutti più "coinvolti" e importanti. Prendiamo ad esempio Juliana: da ragazza smarrita e in cerca di uno scopo è ormai diventata ben consapevole delle forze in campo e comincia a sfruttarle a suo vantaggio. Sa che la resistenza ha nobili ideali ma metodi eccessivi mentre i nazisti hanno modi apparentemente gentili che nascondono intenti agghiaccianti. Finge insomma di stare da una parte o dall'altra ma in realtà vuole soltanto il bene del suo Paese e la pace, vuole evitare ulteriori vittime, fossero anche dalla parte dei nazisti (la famiglia di John Smith). E' insomma l'unica tra i protagonisti a perseguire sempre un ideale suo, personale, che non è influenzato da quello della fazione alla quale appartiene, è una donna che "ha scommesso su ciò che di meglio c'è in noi, ha scommesso sulle persone a prescindere da cosa il resto del mondo diceva su chi erano o avrebbero dovuto essere".
Un po' diversa invece sarà l'evoluzione di tutti gli altri personaggi, a cominciare ad esempio da quello a lei più vicino: Frank Frink. Sempre in bilico tra idealismo e voglia di vendetta non riuscirà mai a dimenticare la morte per mano dei giapponesi dei membri della sua famiglia, mettendo perfino da parte gli unici amici che gli sono rimasti, non fidandosi più di loro, distruggendo anche la più piccola speranza di un futuro sereno. E' apparentemente simile a Juliana e potrebbe sembrare che persegua gli stessi scopi ma invece è molto più vicino al modo di pensare della resistenza: non importano i sacrifici che dovranno essere compiuti, i nazisti sono il male e per battere il male bisogna comportarsi come loro. L'ideale insomma finisce per confondersi con la vendetta e quando questo accade non è più possibile distinguerli, laddove i "danni collaterali" finiranno per fagocitare tutto quello che di nobile ci si era prefissi.
Per quanto riguarda il ministro Tagomi invece, se nella prima stagione a lui spettava la parte più "diplomatica" del telefilm, quella meno "action", in questa stagione i suoi dilemmi e le sue scelte avranno un carattere molto più "personale" (sebbene anche egli sarà decisivo ad un livello più globale). Dopo il cliffhanger col quale si chiudeva lo scorso ciclo di puntate "salterà" di nuovo nella nostra realtà e incontrerà la sua (ipotetica) famiglia. Tutto è apparentemente più bello, migliore, sereno, ma anche la nostra realtà ha i suoi scheletri nell'armadio e alcuni di questi riguardano proprio lui. Il suo ruolo nella realtà distopica verrà invece in un certo senso preso dall'ispettore Kido. Se infatti prima il suo personaggio era una specie di clichè vivente, ligio al dovere, senza sfumature, in questa stagione più di una volta sarà costretto a prendere decisioni difficili, perfino a dialogare con i nazisti. Non verrà mai meno la sua natura autoritaria e a tratti crudele ma diventerà sempre più un contraltare diretto di John Smith.
Smith appunto: è forse proprio lui, tra i protagonisti, quello più imperscrutabile, più combattuto, più difficile da giudicare. Apparentemente fedelissimo agli ideali del nazismo, a tratti sadico, senza grandi scrupoli morali eppure umano, compassionevole con chi secondo lui lo merita, disposto perfino a mettere in discussione gli ordini e le gerarchie pur di salvare suo figlio e i cittadini di New York. Non si saprà mai insomma con sicurezza quante delle sue azioni siano compiute per salvaguardare il Reich e Hitler da chi vuole metterli in pericolo e quante invece saranno compiute per proprio spirito di umanità e di compassione. E' forse il personaggio più riuscito insomma, fosse anche solo per l'ottima interpretazione di Rufus Sewell: bravo nel dipingere un uomo calcolatore e doppiogiochista, che non si capisce mai bene dove voglia andare a parare fino a fatto compiuto.
E Joe Blake? Ecco Joe Blake sostanzialmente è irrilevante. Come se gli ideatori della serie non sapessero bene cosa fargli fare e da che parte farlo stare. In sintesi si trasferirà a Berlino dove incontrerà di nuovo il padre e scoprirà un oscuro segreto che lo riguarda. Tutto qua. Non compierà nulla di davvero rilevante ai fini della trama, come se fosse stato messo da parte, per qualcosa che accadrà in futuro, ma non si avesse il coraggio di ridurre anche il suo minutaggio sullo schermo. Una macchia piuttosto evidente su un lavoro di caratterizzazione altrimenti impeccabile.
Si, lo so, non è un vero castello, ma se mi facessi chiamare "L'uomo Nella Grande Baracca" secondo te avrebbero paura di me? |
La prima stagione di Tha Man in The High Castle si proponeva di immergerci in un contesto, ci faceva conoscere i suoi protagonisti e la loro situazione. Si potrebbe parlare di stagione "introduttiva" o "preparatoria". Non c'era molto spazio per una trama coerente e sfaccettata ma solo per delle situazioni che coinvolgevano i vari personaggi immersi in questo passato "distorto". Il ritmo era necessariamente lento, a tratti fin troppo, ed era necessaria una maggiore accellerazione, accelerazione che prova a dare questa seconda stagione: i personaggi dopo aver messo in dubbio le proprie certezze (sul passato, sulla situazione politica e sugli interessi in campo) cominciano ad agire, ad attivarsi, a lottare in prima persona (non finiscono solo per incontrarsi e scontrarsi ma per svolgere azioni che a modo loro avranno tutte un impatto fondamentale per le sorti del mondo). Sono tutti più "coinvolti" e importanti. Prendiamo ad esempio Juliana: da ragazza smarrita e in cerca di uno scopo è ormai diventata ben consapevole delle forze in campo e comincia a sfruttarle a suo vantaggio. Sa che la resistenza ha nobili ideali ma metodi eccessivi mentre i nazisti hanno modi apparentemente gentili che nascondono intenti agghiaccianti. Finge insomma di stare da una parte o dall'altra ma in realtà vuole soltanto il bene del suo Paese e la pace, vuole evitare ulteriori vittime, fossero anche dalla parte dei nazisti (la famiglia di John Smith). E' insomma l'unica tra i protagonisti a perseguire sempre un ideale suo, personale, che non è influenzato da quello della fazione alla quale appartiene, è una donna che "ha scommesso su ciò che di meglio c'è in noi, ha scommesso sulle persone a prescindere da cosa il resto del mondo diceva su chi erano o avrebbero dovuto essere".
Un po' diversa invece sarà l'evoluzione di tutti gli altri personaggi, a cominciare ad esempio da quello a lei più vicino: Frank Frink. Sempre in bilico tra idealismo e voglia di vendetta non riuscirà mai a dimenticare la morte per mano dei giapponesi dei membri della sua famiglia, mettendo perfino da parte gli unici amici che gli sono rimasti, non fidandosi più di loro, distruggendo anche la più piccola speranza di un futuro sereno. E' apparentemente simile a Juliana e potrebbe sembrare che persegua gli stessi scopi ma invece è molto più vicino al modo di pensare della resistenza: non importano i sacrifici che dovranno essere compiuti, i nazisti sono il male e per battere il male bisogna comportarsi come loro. L'ideale insomma finisce per confondersi con la vendetta e quando questo accade non è più possibile distinguerli, laddove i "danni collaterali" finiranno per fagocitare tutto quello che di nobile ci si era prefissi.
Per quanto riguarda il ministro Tagomi invece, se nella prima stagione a lui spettava la parte più "diplomatica" del telefilm, quella meno "action", in questa stagione i suoi dilemmi e le sue scelte avranno un carattere molto più "personale" (sebbene anche egli sarà decisivo ad un livello più globale). Dopo il cliffhanger col quale si chiudeva lo scorso ciclo di puntate "salterà" di nuovo nella nostra realtà e incontrerà la sua (ipotetica) famiglia. Tutto è apparentemente più bello, migliore, sereno, ma anche la nostra realtà ha i suoi scheletri nell'armadio e alcuni di questi riguardano proprio lui. Il suo ruolo nella realtà distopica verrà invece in un certo senso preso dall'ispettore Kido. Se infatti prima il suo personaggio era una specie di clichè vivente, ligio al dovere, senza sfumature, in questa stagione più di una volta sarà costretto a prendere decisioni difficili, perfino a dialogare con i nazisti. Non verrà mai meno la sua natura autoritaria e a tratti crudele ma diventerà sempre più un contraltare diretto di John Smith.
Smith appunto: è forse proprio lui, tra i protagonisti, quello più imperscrutabile, più combattuto, più difficile da giudicare. Apparentemente fedelissimo agli ideali del nazismo, a tratti sadico, senza grandi scrupoli morali eppure umano, compassionevole con chi secondo lui lo merita, disposto perfino a mettere in discussione gli ordini e le gerarchie pur di salvare suo figlio e i cittadini di New York. Non si saprà mai insomma con sicurezza quante delle sue azioni siano compiute per salvaguardare il Reich e Hitler da chi vuole metterli in pericolo e quante invece saranno compiute per proprio spirito di umanità e di compassione. E' forse il personaggio più riuscito insomma, fosse anche solo per l'ottima interpretazione di Rufus Sewell: bravo nel dipingere un uomo calcolatore e doppiogiochista, che non si capisce mai bene dove voglia andare a parare fino a fatto compiuto.
E Joe Blake? Ecco Joe Blake sostanzialmente è irrilevante. Come se gli ideatori della serie non sapessero bene cosa fargli fare e da che parte farlo stare. In sintesi si trasferirà a Berlino dove incontrerà di nuovo il padre e scoprirà un oscuro segreto che lo riguarda. Tutto qua. Non compierà nulla di davvero rilevante ai fini della trama, come se fosse stato messo da parte, per qualcosa che accadrà in futuro, ma non si avesse il coraggio di ridurre anche il suo minutaggio sullo schermo. Una macchia piuttosto evidente su un lavoro di caratterizzazione altrimenti impeccabile.
In buona sostanza quindi in questa seconda stagione di The Man in The High Catle si pone rimedio ad uno dei difetti (inevitabili) della prima: la poca profondità del carattere di quasi tutti i protagonisti, che apparivano troppo stereotipati e poco "umani". In questo caso invece non solo conosciamo meglio alcuni di loro ma le loro vicende si integrano molto più coerentemente con la trama generale, le loro azioni avranno ripercussioni dirette su tutto quello che accadrà a livello globale, tutto insomma confluirà verso un finale che li vede tutti (quasi tutti) attori principali. La trama è insomma più interessante perchè più interessanti sono loro.
Peccato (come detto) per il modo col quale viene gestito Joe ma probabilmente nella terza stagione si riuscirà a costrure qualcosa di meglio che lo riguardi. Si spera almeno.
Peccato (come detto) per il modo col quale viene gestito Joe ma probabilmente nella terza stagione si riuscirà a costrure qualcosa di meglio che lo riguardi. Si spera almeno.
Permangono ancora dei problemi di gestione del ritmo delle vicende (da una parte è ancora presente una certa lentezza strutturale, dall'altra invece alcuni eventi e risoluzione degli stessi appaiono troppo affrettati e non affrontati con il dovuto approfondimento) ma in questa seconda stagione si può dire che la serie acquista ancora di più una sua originalità. Più diretta e meno "letteraria", forse meno affascinante visivamente e a livello di dialoghi ma più interessante sotto il punto di vista delle vicende generali.
PRO
- Personaggi meglio caratterizzati e meglio inseriti nel contesto generale
- Meno lungaggini
- Meno fedele allo spunto d'origine ma con una sua fisionomia più definita
CONTRO
- Il personaggio di Joe Blake è "sfruttato" non benissimo
- Ancora alcuni problemi nella gestione del ritmo
- Si perde un po' il fascino "letterario" della prima stagione
Voto 8-
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