domenica 6 ottobre 2019

C'era una volta a...Hollywood - Quentin Tarantino (2019)

Brad Pitt, Leonardo Di Caprio, Al Pacino... diretti da Quentin Tarantino? Cos'è, il paradiso del cinefilo? No, è "solo" l'ultimo film del regista del Tennessee (ultimo in ordine di tempo, penultimo, stando a quanto dichiarato da lui stesso - poi vedremo se manterrà la parola). Già solo leggendo il cast citato stiamo parlando di un film che va visto. Si trattasse anche solo della pubblicità di una marca di sigarette. 
Scriverci poi una recensione, invece, non è cosa da poco: il problema infatti non è cosa dire, ma cosa non dire. Si sa, infatti, che i film di Tarantino sono così "pieni" che si fa fatica a lasciare fuori qualcosa, qui poi si parla addirittura di un film stracolmo di eventi, persone, film, serie tv da citare o da considerare. Si potrebbe dire perfino che è un film fatto solo di quello: citazioni. Si, lo è molto più del solito. Va da se che se non vi piacciono opere del genere allora avete sbagliato sala. C'è sempre il Re Leone in quella accanto.


Ma poi ci sarebbe pure da chiedersi... perchè, se non vi piacciono, avete scelto di guardare un film di Quentin Tarantino?

Ok, va bene, allora partiamo dalle basi, di cosa parla il film?

Parla di... film (e non solo) e di fare cinema. E' il concentrato di un epoca vista attraverso l'occhio della celluloide. Un periodo che parte dai figli dei fiori e finisce con i tragici omicidi commessi dalla "famiglia Manson". La fine di un micromondo fatto di sogni, ucciso dalla violenza. Quel "C'era una volta..." che fin dal titolo è un omaggio nostalgico al mito Leone, saccheggiato più e più volte con la voracità del fan più incallito, è in fondo la classica frase che introduce le favole. Si, una favola, per quanto sembri assurdo, questo film alla fine potrebbe considerarsi proprio questo: guardate il finale e l'accostamento vi sembrerà un po' meno assurdo.
"C'era una volta..." è insomma uno spaccato delle fine degli anni '60, osservati dal punto di vista di un attore dell'epoca e del suo stuntman, che si barcamenano tra un ingaggio e l'altro, incontrando e scontrandosi con vari personaggi legati al cinema (veri e inventati).

Abbiamo capito le citazioni, ma il succo qual è? Lo sviluppo del film?

Si procede per "situazioni", come nei classici film di Tarantino, situazioni che conducono all'escalation finale. Tuttavia non è strutturata come al solito e sorprende anche perchè conduce ad un finale inaspettato (e dopo averlo visto vi sarà più chiaro il motivo per il quale il regista ha cercato di evitare al massimo i possibili spoiler). La pellicola insomma è come un viaggio nella memoria, un viaggio che conduce i protagonisti all'interno di prodotti d'intrattenimento dell'epoca, ma proprio letteralmente: Di Caprio e Pitt si ritrovano a fare provini per un film in cui (come consegnatoci dalla storia) finì poi per recitare Steve McQueen; o a fare la controfigura in una serie tv con Bruce Lee (in una delle scene più controverse e criticate del film, tra l'altro). Si viene bombardati da suggestioni insomma, alcune vere, altre "false" ma che comunque poggiano sulle basi del citazionismo (le locandine degli spaghetti western, alcune serie tv citate, certi eventi che sono simili a quelli reali ma con delle differenze evidenti), Potreste perfino perdervi solo nei nomi, il 90% dei quali sicuramente nemmeno conoscete, essendo questi ancorati ben saldamente nella cultura cinematografica americana. 
C'è insomma un continuo gioco a rimpiattino tra vero e falso, ricordo e ricostruzione. Basti ad esempio pensare a Bruce Dern, uno degli attori "reali" di alcune delle serie citate, che qui però, ormai anziano, compare per recitare la parte di se stesso (o almeno una versione simile). Oppure alla scena nella quale la Tate finta (interpretata da Margot Robbie) va a vedere un suo film nel quale però sullo schermo c'è la Sharon Tate originale.

Si, ok, le citazioni e gli omaggi ma a proposito di Sharon Tate: si tratta quindi di un film biografico? E' la storia della famiglia Manson? Di Sharon Tate?

Si, è un film "biografico", sul... modo di far cinema di Tarantino. Il regista si autocita (i nazisti simili ad Inglorious Basterds, lo "Stuntman Mike" Kurt Russel), ironizza sul suo passato e sui suoi miti (tornano ancora, sotto altre vesti Antonio Margheriti, Django, le finte pubblicità...) chiude la sua personale trilogia del "revisionismo storico" (laddove gli assassini e i "cattivi" della storia risultano qui patetici, ridicolizzati e poi sconfitti), in un overdose di tarantinismo che lascia frastornati (alcuni pure delusi, destinati a bollare il tutto come puro autocompiacimento col fiocco intorno)
No, non parla quindi di Charles Manson, non direttamente, non come ci si aspetterebbe. Analizza gli eventi da una prospettiva vicina ma comunque distante, dallo spioncino, limitandosi ad omaggiare (quando si tratta di Sharon Tate), a ridicolizzare (i membri della famiglia Manson), a ricostruire con cura certosina gli eventi storici e poi a distruggere tutto. Manson c'è, ma si vede poco, ci sono degli omicidi ma si svolgono in maniera totalmente diversa e caricaturale, tutto sempre comunque filtrato attraverso gli occhi dei personaggi di Pitt e Di Caprio.

Ah, ecco, Di Caprio e Pitt, almeno loro hanno una trama ben definita? Che fanno? Sono buoni o cattivi?

Sono buoni e cattivi. Buoni attori ma fragili nella vita, pessimi intrattenitori ma dalla vita violenta o piena di scheletri nell'armadio. Uno bravissimo nel suo lavoro ma perennemente depresso e insicuro di se, l'altro incapace (o troppo poco interessato pur avendone tutti i mezzi) di costruirsi una vera carriera redditizia (finisce per diventare il tuttofare del primo) ma tremendamente sicuro si se nella vita. Fin troppo sicuro di se. E con tanti scheletri nell'armadio: la situazione che lo vede coinvolto nella morte della moglie è essa stessa un'altra citazione (Natalie Wood)
Rick Dalton e Cliff Booth sono insomma due personaggi diversissimi eppure a loro modo simili, si capiscono alla perfezione. Si potrebbe vedere tutto il film come la storia di un'amicizia sincera, sul differente modo di approcciarsi al lavoro e alla vita di due amici.

Insomma questo "C'era una volta parla di tante cose..." ma poi in fondo non parla di nulla.

Non ha uno sviluppo classico, è vero, e neppure un colpo di scena vero e proprio, ma è un film pieno di cose, che non si può liquidare con due parole. Magari tutte queste cose che contiene non sono immediatamente comprensibili, magari difficili da ricordare o da conoscere, forse è un po' troppo minestronesco, magari dura pure troppo e una sforbiciatina non gli avrebbe fatto male (in realtà il nostro Quentin aveva in mente una durata ben maggiore, pensate un po') ma è un po' la summa del cinema di Tarantino, contiene tutto quello che amate o che odiate del regista. in quantità ancora maggiore rispetto al passato. Forse non il suo film migliore (probabilmente non ci si avvicina neppure), è comunque il suo The Lamb Lies Down on Broadway: imperfetto ma fondamentale.

Oh, che poi in definitiva, se anche solo una volta nella vita ti sei chiesto che fine ha fatto Dakota Fanning... allora vale la pena vederlo.


Ecco, appunto! (ToT) (ToT)

[...]

[scena extra dopo la recensione di coda: "Lui ha fatto il film, io ho solo organizzato il vostro incontro]

"Buuu! Questa la potevi pure tagliare -_- "

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