Una caratteristica che i videogiochi moderni sembrano avere perso è la capacità di stupire. Spesso si tende a seguire una corrente, quella del genere che va per la maggiore e che permette di accontentare il grosso dell'utenza. Ecco quindi prima la moda sei Soulslike, poi quella dei Roguelike, siamo l'epoca dei likes d'altronde. Senza dimenticare poi quelle software house specializzate in un solo genere o che utilizzano le stesse meccaniche in ambientazioni e stili diversi (Ubisoft). Ogni tanto però ci si imbatte in videogames che sono difficilmente catalogabili e che, soprattutto, sono così particolari da meravigliare. Outer Wilds appartiene a questa categoria: un videogioco così originale e pieno di sorprese da cadere vittima spesso delle sue stesse regole e peculiaritá.
All'apparenza sembra un gioco di esplorazione spaziale, e lo è, ma col passare delle ore si rivela una specie di Walking puzzle simulator misto ad un Roguelike con spruzzate survival e stealth. Eh? Beh in sostanza dovrete esplorare una serie di pianeti (non tantissimi), impararne le regole che ne guidano il funzionamento (bassa gravità, tempeste di sabbia, buchi neri, collegamenti spaziali), scoprirne i segreti e risolvere un gigantesco dilemma (che è il fine ultimo del gioco): la misteriosa sparizione di una razza aliena che aveva cercato di risolvere il mistero dell'universo. Ed è davvero bellissimo viaggiare di pianeta in pianeta a caccia di dettagli, ritrovamenti inattesi, colpo di scena, meccaniche inaspettate. Ci si sente gratificati in tutto questo vagare (mentre in molti dei Walking simulator si segue una storia lineare a molto spesso ci si annoia pad alla mano). Non sembra insomma di star sprecando tempo, ogni rivelazione e scoperta è importante per venire a capo del mistero principale. E qui per fortuna/purtroppo scendono in campo i loop.
Siete lì su un pianeta e state cercando di risolvere un puzzle per entrare in un edificio abbandonato. Mentre sembrate aver trovato la soluzione osservate un fragore in lontananza, una luce, si avvicina, vi raggiunge e...siete morti. Cosa avete fatto di sbagliato? Nulla. C'è questa cosa che dopo circa 22 minuti, qualsiasi cosa facciate, il sole collassa e siete fritti. Questa meccanica del tempo che vi rema contro trasforma quella che è un avventura di esplorazione rilassante e tranquilla in un inferno fatto di puzzle da risolvere nel minor tempo possibile. Perché ogni volta che morite dovrete ricominciare dal punto di partenza, certo con le informazioni acquisite in precedenza ma sempre e comunque da capo (pianeta di partenza, zero potenziamenti, zero scorciatoie). E se questa cosa dopo 20 loop o 50 viaggi verso lo stesso pianeta può risultare affascinante, perché ogni scoperta vale la ripetitivitá, ogni tentativo e un nuovo tassello in più, ma quando avrete invece un quadro ben definito di certe meccaniche e spunti di trama questa trovata comincerà piuttosto a diventare un fastidio. E lì il gioco vacilla proprio a causa delle sue caratteristiche distintive.
20 ore di gioco, siete lì ad aspettare di risolvere quel determinato puzzle (alcuni necessitano il verificarsi di determinate condizioni temporali o climatiche, roba che potreste aspettare anche 7/8 minuti il sopraggiungere di un evento per proseguire o per tentare di fare quel che cercate di fare) necessario ad avanzare. Un errorino, una tempesta di sabbia calcolata male e...siete morti. Ripartite, ci riprovate, stavolta vi va bene, siete riusciti ad entrare nell'edificio ma vi spetta un puzzle che...sono passati 22 minuti, siete morti. E questi loop avvicinandoci alla fine del gioco saranno sempre più la costante, che trasformerà un gioco basato sulla scoperta e la meraviglia in un puzzle game frustrante dove spesso dovrete capire come fare una determinata cosa, farla velocemente ed avere fortuna nel non trovare ostacoli. E i puzzle finali saranno basati su intuizione, deduzione, capacità di mettere assieme tutti i tasselli appresi e, soprattutto, riuscire ad imbattersi in un determinato evento che vi incuriosirá e vi farà insistere nel cercare di capirlo. Molte volte per arrivarci dovrete viaggiare a vuoto per ore.
A questo si aggiungono dinamiche (fuori contesto) survival horror e stealth che hanno a che fare con un determinato pianeta, abitato da mostroni che vivono nella nebbia e che ad ogni rumore vi fanno secchi (per rumore si intende usare i razzi delle navetta e i razzi servono per muovervi). In pratica non vedete dove andate, non potete muovervi liberamente (ma solo ondeggiare e far viaggiare la navetta per inerzia), non sapete dove andare e avete 22 minuti di tempo per cercare di fare qualcosa di risolutivo. Una combo micidiale che proietta il gioco verso abissi di frustrazione inattesi. E dopo 20 ore di gioco, di puzzle risolti, quando siete lì con tutte le informazioni, o quasi, utili per raggiungere il finale...non è piacevole, non è rilassante e ammazza totalmente le premesse iniziali. Volete soltanto arrivare al dunque e siete costretti a dibattervi in una serie di operazioni ripetitive, a volte irritanti e poco appaganti
Outer Wilds insomma è un gioco particolarissimo: originale, indecifrabile, pieno di misteri e di meccaniche innovative. Fino a quando il gioco riesce a gestirle e l'utente sarà immerso nel senso di meraviglia. Proprio questo suo essere tante cose però alla fine finisce per destabilizzare, indisporre e perfino frustrare, quel punto nel quale sei in bilico tra il voler finire il gioco per sapere come va a finire ma hai sempre in testa un tarlo che ti dice "ma chi me lo fa fare di rifare di nuovo tutto da capo?" Un gioco che richiede adattamento, intuitività, voglia di scoprire insomma ma anche tanta tanta pazienza. E non di quella necessaria a risolvere una fase particolarmente difficile, ma quella che vi fa perseverare nel rifare una stessa cosa svariate volte sperando che vi vada bene solo per ricevere come premio finale una riga di testo che non avevate letto in precedenza.
Voto 8--
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