Fagioli e Iling, lacrime di gioia e lacrime di dolore e sacrificio sono quello che ci serve in questo momento. Mai una vecchia frase fatta come “largo ai giovani” fu più appropriata come in questo periodo storico alla Juve. Questi quantomeno ci stanno mettendo impegno. Anche se acerbi e tra tanti errori ingenui, che tanto peggio di così… Preferisco che l’errore ingenuo me lo faccia un giovane, piuttosto che un “veterano”, e preferisco perdere vedendo questo impegno per la maglia che continuare a perdere (lo stesso) vedendo la stessa maglia vilipesa da chi è strapagato. Il segnale che deve essere dato alle cotiche più grandi, infatti, è quello che in questa stagione possono essere tranquillamente sostituiti e che si possono accomodare come minimo in panchina se non in tribuna sugli sgabelli. Il sacrificio finale di Iling Junior in tal senso, infortunato ma ancora in campo perché a cambi finiti, è un simbolo tanto quanto il goal meraviglioso di Fagioli che lo commuove fino alle lacrime.
Nel primo tempo infatti si è vista la solita solfa. L’inconcludenza abissale contro qualsiasi avversario. Una cronaca che langue come uno scrittore in piena crisi che guarda il foglio bianco che ha di fronte, in cerca di un’idea. Nel secondo, soprattutto grazie alla fase propositiva dei giovani, sì e quantomeno visto qualcosa di meglio che poi a portato al goal. Un coniglio tirato fuori dal cilindro, da chi non ti aspetti, che tira fuori di impaccio un allenatore che l’ha sempre lasciato in panchina. Senza quella magia oggi staremmo a cantare la solita canzone triste. Il punto è che non si può vivere di sola magia ma si campa di concretezze e senza quella magia la concretezza è stata davvero poca ieri, come al solito d’altronde.
Una partita di novanta minuti nella nostra mente si riduce spesso a pochi ricordi, come se il nostro tempo scorresse più veloce mentre noi andiamo piano. Siamo il paradosso di Einstein. Ci muoviamo macchinosi e lenti mentre il cronometro scorre velocemente. Mai con la fretta e con la rabbia di chi è ferito nell’orgoglio. Anzi, come ieri, riusciamo a portare via punti solo quando non ci offendono con un vantaggio o non ci schiaffeggiano con un pareggio. E sempre, dopo essere passati in vantaggio, lasciamo agli altri occasioni d’oro per pareggiare. Anche a chi, come il Lecce di ieri, per novanta minuti non fa un tiro in porta (zero in tutta la gara). Quel palo (che tecnicamente non è tiro nello specchio) è stata la porta scorrevole che ci ha lasciato fuori dall’ennesima figura di merda e mi ha ricordato tanto quello subito lo scorso anno nella trasferta vittoriosa di Salerno.
Perciò, lasciamo ai giovani il loro meritato piatto di fagioli e facciamo assaggiare ai vecchi ammutinati un po’ di pane duro. Che sia un segnale per tutti. Squadra, allenatore e dirigenza. Che quantomeno tra le macerie degli infortuni di gambe e di testa qualcuno abbia l’opportunità di crescere e di maturare senza l’ombra degli alberi più grandi. Per il resto non è cambiato nulla e navighiamo ancora a vista verso lidi inesplorati e lontani. Il nostro è un naufragio travestito da avventura.
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