Sarà pure il peggior allenatore italiano, ma ogni volta riesce a incartare Sarri e la sua Lazio. La società calcistica italiana, invece, si identifica alla perfezione col sarrismo. Quella del finto calcio spettacolo, senza uno straccio di adattamento all’avversario, il tikitaka sterile, capace di spostare sempre e comunque l’attenzione sull’arbitro quando le cose non girano bene, il parafulmine di tutti i propri mali del mondo. Ebbene sì, non ridete, persino dopo una partita del genere, in cui nessun sano di mente ha visto fatti strani, se si eccettua il fatto che il primo giallo per la Lazio è arrivato dopo 85 minuti, con già mezza Juve ammonita. Ecco dunque come giustificare l’ennesima sberla tattica presa da Allegri, l’allenatore più criticato d’Italia.
La scelta è sempre quella di non parlare mai di calcio e, come in questo caso, persino di non parlare affatto. D’altronde stiamo discutendo di uno che si è lamentato del calendario ancor prima del suo inizio. Il gioco è sempre quello di spostare l’inquadratura dalla trave alla pagliuzza e fare una macro. Il pallone non è uscito? Quindi troviamo qualcosa che possa passare per un fallo non fischiato, in qualsiasi punto della gara… perfetto, questo può andare. Buona la seconda. Fa nulla che poi ne prendi tre ed, eccetto per quel gol, hai fatto poco più che presenza in campo. Con la Juve che poteva farne persino altri due facili facili, falliti a pochi passi da Provedel.
Con i telecronisti che in diretta notano la disparità evidente di cartellini e la Gazzetta che ti dà torto sulla moviola del dopo gara (ti sarai detto, forse troppo impegnata a vedere il derby di Milano) ricorri al tuo buon vecchio Corsport, quello con le edizioni regionali di Roma e Napoli per restare vicina ai propri tifosi, per gridare senza voce. Lamentandoti senza lamentarti, come da perfetto paradosso che ti contraddistingue. Come quello che litiga con te e, davanti a te, chiede a qualcun altro di riferire a te le tue rimostranze, come se tu non ci fossi.
È la vecchia storia della mano avanti e una dietro, ma rivisitata. Non per coprire le proprie vergogne, come sarebbe naturale che fosse, ma usando quella davanti per non cadere (sui calendari) e quella dietro per trovare episodi postumi. Mi lamento del calendario che ho con le grandi ma perdo con Lecce e Genoa. Perdo contro la Juve ma cerco di trovare una scusa. Una mano avanti e una dietro.
Questo è il calcio che vogliono gli italiani, ma non da oggi, da sempre. Il calcio parlato. Quello che una volta era solo in TV sui processi delle reti regionali con Biscardi e che oggi fa il suo grande ingresso sul campo di calcio. Quello che porta a decidere la classifiche non sul campo ma col televoto. Quello dei Sarri e dei Mou dal mugugno facile, trascinatori di folle infuocate con in mano una pompa di benzina. Il pallone cambia forma. Potere al popolo.
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