domenica 8 settembre 2019

Mindhunter - seconda stagione (2019)

Il 99% delle serie tv (e dei film) che hanno come tematica principale la cattura di un serial killer scelgono di concentrarsi sulle indagini, sull'accumulo di domande e di misteri, spesso sull'azione nuda e cruda. E' normale che sia così: ad affascinare lo spettatore è la suspance, il colpo di scena, la "caccia al colpevole" che ha la sua risoluzione proprio nelle battute finali. D'altronde è un po' quello che avviene nella classica struttura di un giallo. Se elimini questo elimini tutto di fatto. O no? Fin dalle prime puntate della prima stagione di Mindhunter avevamo capito invece che ci trovavamo di fronte a qualcosa di completamente diverso nel panorama seriale (non killer in questo caso): non l'assassino ma gli assassini, non il detective senza macchia che indaga su un omicidio, ma una task force che si concentra sui processi mentali dei più efferati killer della storia. Un telefilm insomma che si concentra su tutto quello che spesso ci viene omesso altrove: chi sono in realtà questi folli? Perchè arrivano a commettere atti che per una persona dotata di senno appaiono assurdi? Hanno dei tratti in comune tra di loro? L'indagine insomma non è sul fatto in se ma su tutto quello che potrebbe portare a commettere quel fatto. Un qualcosa di simile (per certi versi) ad opere come Manhunter (il film): per prendere un assassino serve un assassino e serve capire chi è. Ma tutto questo non è alla fin fine un mero e noioso esercizio di stile? Come può tutto questo appassionare (non c'è un colpevole da smascherare, non nell'immediato almeno, non c'è un "caso" classico, non c'è azione)? Puo.


Vi do carta bianca, sentitevi liberi di agire, non mi piace intromettermi troppo, mi piace definirmmi "Un Osservatore"

Un po' tutti, chi più e chi meno, siamo affascinati dalle figure dei più grossi assassini della storia, lo siamo perchè in fondo cerchiamo di capire cosa sia la natura umana, il senso della morale, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, cosa ha portato questi individui a distaccarsi così tanto da tutto ciò che riteniamo lecito e sensato. Mindhunter mette questi soggetti a nudo, ce li mostra nella loro forma più neutra, laddove l'interrogatorio diventa di fatto una specie di intervista ad una sadica star (non a caso nel telefilm abbiamo figure ormai diventate, ahinoi, leggendarie come Il figlio di Sam e Charles Manson). Scopriamo allora che c'è chi è la classica vittima di abusi che si è fatta carnefice, chi invece si crede onnipotente e detentore di una presunta verità sconosciuta a chiunque, chi cerca semplicemente la notorietà con i mezzi più orribili e scioccanti possibili, chi si sente represso sessualmente o è totalmente ossessionato da questo. Le persone non sono tutte uguali ma spesso hanno delle caratteristiche comuni che permettono di individuare dei modus operandi (si sa che molti assassini tornano sul luogo del delitto o che conservano cimeli dei propri omicidi ecc.). In ogni puntata abbiamo un quadro più chiaro di uno spaccato di umanità, quella più estrema possibile. E' questa la vera indagine.

Che ci faccio in questo telefilm? Non ho mai ammazzato nessuno in vita mia. La gente si ammazza e sbudella e da la colpa a me: sarò pure un pazzo, un sadico, uno xenofobo, un plagiatore, un assassino e un razzista ma di sicuro non sono un cattivo musicista.

Certo, non mancano meccanismi più classici, in questa stagione forse ancora di più abbiamo ciò che potrebbe avvicinarsi ad un'investigazione (una serie di efferati omicidi di ragazzini di colore nella città di Atlanta), per certi versi ci andiamo davvero vicino: il telefilm sembra mettere per qualche puntata totalmente da parte tutto quanto avevamo visto in precedenza  (a volte segando inspiegabilmente sottotrame costruite in maniera forse perfino eccessiva in precedenza, vedi ad esempio la relazione di Wendy) per concentrarsi solo su quello. Eppure siamo sempre comunque lontani dall'indagine da telefilm americano a cui siamo abituati. Non dimentichiamoci che quasi sempre si tratta di fatti realmente accaduti e di serial killer rimasti a piede libero per decenni, anche molto dopo il periodo stesso nel quale è ambientata la serie. Spesso vediamo solo la superficie insomma e nonostante questo il tutto riesce comunque a risultare appassionante, questo grazie al realismo incredibile (il trucco e la recitazione sono su altissimi livelli) e all'eccezionale caratterizzazione di (quasi) tutti i personaggi. Paradossalmente ne risultano sacrificati proprio quelli che in teoria dovrebbero essere i protagonisti (ma di fatto alla fine finiscono per non esserlo): Holden, Bill e Wendy. Se Bill è forse l'unica vera eccezione (dovrà scontrarsi con problemi familiari in un certo senso collegati al suo stesso lavoro e al suo ruolo di padre), Holden e Wendy spesso finiranno per essere messi da parte, spesso apparentemente dimenticati, il primo sbertucciato e più volte ripreso da colleghi e superiori per i suoi metodi poco convenzionali, la seconda quasi irrilevante e confinata in una relazione amorosa che produce un nulla di fatto (manco compare nella puntata finale). Forse si poteva fare di più sotto questo versante.

Si, ammazzavo le persone perchè me lo diceva il cane, il cane della pistola

In definitiva con questa seconda stagione Mindhunter si conferma un telefilm complicatamente affascinante, diverso, indisponente (proprio quando sembra prendere una direzione ben chiara se ne smarca), che scende a poco compromessi, senza una vera trama e uno sviluppo canonico ma pieno di tante piccole storie e micromondi da scoprire che in comune hanno l'assassinio.
Non aspettatevi che si adatti insomma ai vostri canoni ma dovrete essere voi ad adattarvi ai suoi per capirne a fondo la natura, un po' come fareste con un serial killer.

PRO

- Caratterizzazione eccezionale di quasi tutti i personaggi
- Costumi e recitazione di alto livello
- Approccio alle indagini originale e affascinante

CONTRO

- Forse a tratti troppo frammentato
- Due protagonisti su tre "girano un po' troppo a vuoto"
- ...

Voto 8

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