martedì 1 novembre 2011

Steve Hackett - BEYOND THE SHROUDED HORIZON

© 26 settembre 2011
A 2 anni di distanza dal precedente Out of the tunnel's mouth, l'ex chitarrista dei Genesis sul finire di settembre ha pubblicato il suo nuovo lavoro: Beyond the shrouded horizon.
A differenza del lavoro precedente (piuttosto travagliato per via di problemi coniugali che hanno influito sulla composizione dei pezzi) qui Hackett torna in uno "studio vero" e la differenza si sente, non come qualità in se dei pezzi, ma come varietà degli stessi e possibilità sonore. Così ho subito acquistato la versione doppia, che oltre all'album standard possiede un cd bonus che contiene altri brani (quasi tutti strumentali) non imprescindibili ma molto interessanti.

Ma andiamo al succo. Una intro misteriosa e molto d'atmosfera preannuncia il primo brano, "Loch Lommond", pezzo piuttosto potente e grintoso, che sfocia in aperture più melodiche (meravigliosa la parte cantata, che si avvale di un ottimo uso della voce e dei cori di Amanda Lehman).
Nella parte finale il nostro si produce in un assolo secco ed efficace, che prelude ad una brevissima coda acustica. Beh, come primo brano davvero niente male, un mix perfetto di "rumore" e quiete, come è sua abitudine. Voto 9-- 

Lo strumentale The Phoenix flown arriva subito dopo il pezzo d'apertura e ne è la perfetta continuazione: potente e d'atmosfera, dove il nostro come al solito sfoggia tutta la sua bravura: stiamo sempre parlando di uno dei chitarristi più innovativi (chi ha detto tapping?) degli anni 70'. Voto 8 

La brevissima Wanderlust funge da introduzione alla delicata Til These eyes, che rimanda addirittura a Defector (album del 1980) e a pezzi come Leaving. Molto bello il "ritornello". Brano breve ma meraviglioso. Voto 9 

Praire angel è un altro strumentale, dove una bella parte (ripresa poi successivamente) di chitarra elettrica sfocia in una coda hard rock. Voto 8 

La successiva a Place called freedom è uno dei pezzi più significativi dell'album. Si avvale di assolo davvero efficaci all'elettrica e di un buon uso della voce. A tratti nel "ritornello" un po' alla Yes ma comunque con una sua identità. Forse poco varia ma molto molto piacevole. Voto 8,5 

Between the sunset and the coconut palms è ancora una volta un breve brano "defectoriano" molto basato sui cori e d'atmosfera. Bella la coda sinfonica. Voto 7,5 

Si cambia completamente registo con Waking to life: da un brano lento e delicato ad uno piuttosto scanzonato e vicino al pop, dove alla voce, anziché il chitarrista, troviamo Amanda Lehmann. L'inizio è piuttosto ordinario, ma il brano successivamente si fa piuttosto ispirato e la seconda parte strumentale è davvero ottima. Voto 8,5 

Two faces of Cairo è un altro strumentale che indica già nel titolo le sonorità che ascolteremo. Un'introduzione alla Passion (no, non l'album dei Pendragon, quello più vecchiotto di Peter Gabriel, che non vi sto a dire chi è) ci conduce verso un crescendo chitarristico d'effetto davvero molto godibile che mantiene lo standard dell'album ancora elevato. 7,5 

Looking for fantasy torna su territori più acustici e delicati, per un brano non originalissimo ma ancora una volta molto gradevole. Voto 7,5 

La brevissima introduzione acustica di Summer's breath ci conduce al brano più potente dell'album: Catwalk. Siamo dalle parti dell'hard blues (almeno un pezzo blues non manca mai in un album di Hackett), e sebbene non mi abbiano mai fatto impazzire queste incursioni di Steve in questo "territorio" (Blues with a feeling per me è l'album peggiore della sua discografia) in questo caso sia l'utilizzo della voce che gli assolo chitarristici convincono. Inoltre in questo pezzo (e nel successivo) compaiono anche due ospiti d'eccezione: un certo Chris Squire (il Red Canzian degli Yes) e Un certo Simon Phillips (boh, batteristucolo che ha suonato solo con artisti sconosciuti come Toto, Judas Priest, The Who, Mike Oldfield ecc. ecc. ecc.). insomma di ciccia ce n'è. Voto 8,5 

La lunga Turn this island earth è un pezzo piuttosto strano e vario, con delle parti di calma apparente, alternate ad altre più d'atmosfera e ad altre ancora più dinamiche e potenti. Al minuto 7 un rimando piuttosto palese a The toast (sempre da Defector), prima di una bella parte vocale. Forse un finale più in crescendo sarebbe stato meglio (gli ultimi minuti invece sono più "ordinari"), ma va bene anche così. Di certo non è il capolavoro che il minutaggio lascerebbe intendere, ma è di sicuro il pezzo più prog dell'album e quello che richiede più ascolti per essere apprezzato a pieno. E comunque un signor brano, poche storie. Voto 9-- 

La caratteristica principale di quest'album (a differenza di quasi tutti quelli sfornati da Hackett negli ultimi anni) è l'omogeneità, la compattezza, e visti i recenti trascorsi è una cosa che stupisce. Non abbiamo il capolavorone di turno (una Sleepers o una The serpentine song) ma tutti i brani hanno il loro perchè e il loro per come. Hackett insomma è uno che sa “il bi e il ba” della situazione e ancora una volta ha sfornato un signor disco. Peccato che in pochi se ne accorgeranno, intenti a seguire i vocalizzi autocoveristici di Peter Gabriel (non è una vera e propria stoccata al grande Peter, sono pur sempre un suo fan, ma insomma Hackett negli ultimi anni avrebbe meritato la stessa attenzione, anzi avrebbe meritato un'attenzione maggiore, visto che attualmente è fuori di dubbio l'unico membro dei Genesis che abbia ancora qualcosa di progressivo e di "nuovo" da dire).

Album quindi, come detto, senza picchi elevatissimi, ma in generale più riuscito del precedente.

Voto globale 8+
 

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