Il 99% delle serie tv (e dei film) che hanno come tematica principale la cattura di un serial killer scelgono di concentrarsi sulle indagini, sull'accumulo di domande e di misteri, spesso sull'azione nuda e cruda. E' normale che sia così: ad affascinare lo spettatore è la suspance, il colpo di scena, la "caccia al colpevole" che ha la sua risoluzione proprio nelle battute finali. D'altronde è un po' quello che avviene nella classica struttura di un giallo. Se elimini questo elimini tutto di fatto. O no? Fin dalle prime puntate della prima stagione di Mindhunter avevamo capito invece che ci trovavamo di fronte a qualcosa di completamente diverso nel panorama seriale (non killer in questo caso): non l'assassino ma gli assassini, non il detective senza macchia che indaga su un omicidio, ma una task force che si concentra sui processi mentali dei più efferati killer della storia. Un telefilm insomma che si concentra su tutto quello che spesso ci viene omesso altrove: chi sono in realtà questi folli? Perchè arrivano a commettere atti che per una persona dotata di senno appaiono assurdi? Hanno dei tratti in comune tra di loro? L'indagine insomma non è sul fatto in se ma su tutto quello che potrebbe portare a commettere quel fatto. Un qualcosa di simile (per certi versi) ad opere come Manhunter (il film): per prendere un assassino serve un assassino e serve capire chi è. Ma tutto questo non è alla fin fine un mero e noioso esercizio di stile? Come può tutto questo appassionare (non c'è un colpevole da smascherare, non nell'immediato almeno, non c'è un "caso" classico, non c'è azione)? Puo.